Carissimi,
dopo la ricca esperienza vissuta
al Convegno ecclesiale di Verona, “Testimoni di Cristo Risorto, speranza del
mondo”, un’esperienza che mi ha
coinvolto personalmente, insieme al nostro Vescovo e altri sette (don Antonio
Di Lorenzo, don Giandomenico, Graziella Conte, Giulia Sparvieri, Suor Luciana,
Valerio Febei) della nostra Chiesa locale, eccomi a sollecitare una
disponibilità a questo cammino di Chiesa.
Si aggiunga a tale evento
l’itinerario percorso nella nostra comunità diocesana, l’Assemblea del 24
settembre, pienamente inseriti nel cammino della Chiesa italiana, che hanno
avuto modo di chiarire in quale modo anche noi possiamo esprimere la nostra
testimonianza, tenendo conto delle risorse del territorio e della disponibilità
di ciascuno, della sua vocazione e della sua responsabilità.
Nel frattempo, il nostro Vescovo
ci ha fatto dono della sua lettera pastorale, “La parrocchia casa della
speranza”, (linee programmatiche dell’anno 2006-2007) ove ci si chiede: “cosa
significa e comporta concretamente far sì che ogni nostra parrocchia, pur nella
diversità di condizione socio-culturale, di consistenza numerica, di esperienza
di fede diversificate, sia veramente una “casa
della speranza”?”.
È così che padre Luca propone tre
passaggi perché ogni parrocchia, traducendo in concretezza l’istanza
missionaria, diventi “vera casa, casa abitata dallo Spirito, casa aperta a
tutti e verso tutti”. In questo
orizzonte, il nostro Vescovo, anticipando riflessioni ed istanze del Convegno
di Verona, chiede alle nostre comunità, attraverso una azione pastorale
integrata, di esprimere la propria identità e la propria responsabilità di
essere segno del Vangelo nel territorio, soprattutto negli ambiti della vita
umana.
Per quanto riguarda poi il nostro
cammino parrocchiale, la ricerca appassionata che deve accompagnare la comprensione
della Sua volontà nasce anche dal domandarci: quale è il punto di riferimento
della nostra vita, quali sono le nostre speranze? Quali sono i segni del
passaggio di Dio nella nostra vita che custodiamo e vogliamo condividere con
gli altri?
Dare vita alla speranza è agire
perché si realizzi il regno di Dio, è risultare scomodi, è esprimere la gioia
nel vedere la presenza del Signore nella propria vita e veder realizzato ciò
che Lui ci ha chiamati a fare. Per fare
questo si tratta di percorrere un itinerario di formazione coerente alle
esigenze della chiamata, prudente e attento a saper valutare la dispersione del
tempo nel quale viviamo, nutrito dalla speranza di poter rispondere anche noi
al progetto di Dio in piena fiducia.
La speranza quindi vi interroga
come futuri presbiteri:
Ø
Quale formazione
per essere “testimoni di Cristo Risorto, speranza per l’uomo”?
Ø
Quale
maturità affettiva per essere vicino, ascoltare e offrire aiuto concreto
agli adolescenti e alle famiglie cristiane?
Ø
Quale annuncio
per dare senso al lavoro dell’uomo e al suo tempo libero, all’esperienza di
festa della comunità cristiana nel “giorno del Signore”?
Ø
Quale
educazione per comunicare il patrimonio culturale e tenere viva la memoria
della nostra tradizione?
Ø
Quale
testimonianza per offrire alla nostra Città una presenza capace di
edificare la giustizia e la pace?
Ø
Quale
forza spirituale per aiutare le persone ad evitare il rischio di soccombere
sotto il peso delle molteplici fragilità?
“Gesù Cristo Crocifisso e Risorto
è il nome della speranza cristiana”: questa l’affermazione centrale del
Convegno di Verona!
“Una casa della speranza per
tutti”: questa l’affermazione del nostro Vescovo nel testo delle linee
programmatiche!
Abbiamo bisogno, come Comunità
parrocchiale, di dare vigore alla speranza della propria chiamata attraverso
alcuni atteggiamenti “incontrare, ascoltare, vedere, comunicare il Risorto, per
evitare il rischio di un possibile intellettualismo e per denotare il proprio
cammino essenzialmente come un’esperienza”.
(cfr Mons. L. Brandolini, Atti della 57 Settimana Liturgica di Varese, pg 17)
I luoghi della parrocchia, in
particolare, sono deputati a realizzare tale esperienza, la quale si esprime in
modo più pieno nella Celebrazione eucaristica.
Per questo, sperare, per ciascuno
di noi significa consegnarsi all’azione dello Spirito e lasciare che Egli dia
forma al nostro presente, sapendo, per altro, che dello Spirito noi possiamo ricevere
ora solo una caparra. La speranza è prima
di tutto esperienza spirituale, significa coltivare la convinzione che
l’impegno per la formazione, vissuto nella perseveranza e nella fedeltà, saprà
introdurre nei “segreti della vita di Gesù”.
I misteri di Cristo, lungamente
contemplati, divengono l’orizzonte di speranza sullo sfondo del quale prendere
la decisione che Dio si attende da parte di ciascuno di noi.
La speranza è possibile se
svegliamo la memoria, se ci incarniamo nella storia, se alimentiamo la
testimonianza, se combattiamo l’ignoranza e la superficialità.
La speranza ci fa scendere in
profondità, ci fa conoscere il mistero di Dio e di se stessi, esorcizza dalla
banalità e dalla grossolanità.
I testimoni della speranza ci
dicono la loro immersione nel mondo e in quel luogo della propria vocazione
sono diventati cristiani fino a quella condizione di maturità che si chiama
santità.
E allora tra, incontri e
preghiera, celebrazioni e servizi, i nostri giovani è possibile riscaldarli di
calore proprio, di quel calore che il Vangelo può irradiare ovunque, dove si
può essere “testimoni di Cristo risorto, speranza per l’uomo”.
Come non sarà possibile esserlo per
noi, lì dove siamo, oggi?
Sapendo però che la speranza si fa
carico, si nutre, porta con sé e trascende le attese e i bisogni di ogni
creatura umana, noi possiamo camminare certi che essa può essere per tutti noi
parola-chiave per capire e approfondire il nostro servizio nella Chiesa e la
nostra presenza nel mondo.
Con l’augurio di un buon inizio
di anno e di impegno sereno, un saluto fraterno a voi tutti.
Mons Alfredo Di Stefano