Corso di
formazione liturgica per operatori pastorali
Questa sera siamo qui raccolti per considerare come vivere
il mistero di Cristo e della sua salvezza nella liturgia, riflettendo su come
giungere a celebrare in “Spirito e Verità”, cioè nelle forme, nelle
disposizioni, nei modi che possono rendere questo mistero autenticamente
efficace e generatore di vita nella Chiesa di Dio. La riforma del Vaticano II
ha dato molto alla Chiesa con i nuovi libri liturgici nella loro ricchezza di
orientamento dottrinali e spirituali, di nuove espressioni di preghiera, di
forme più intelligente di celebrazioni e
di partecipazione più autentica. Ma il cammino di assimilazione non è
terminato.
Nella Nota dell’Episcopato Italiano su “ Il rinnovamento
liturgico in Italia”, vengono richiamati in modo speciale, tre nodi irrisolti a cui porre attenzione:
-“L’adozione dei nuovi libri e dei nuovi riti, non è
sempre stata accompagnata da un proporzionato rinnovamento interiore nel vivere
il mistero liturgico e da quell’aggiornamento culturale teologico e pastorale
che la riforma avrebbe invece richiesto;
-talvolta si ha l’impressione che un nuovo formalismo,
frase meno appariscente ma ugualmente
infecondo e illusorio, stia sostituendosi all’antico. In altri casi, invece si
è dovuta lamentare una smania poco motivata per cambiamenti ingiustificati;
-non sembra che l’assemblea abbia preso ovunque
coscienza della propria funzione nell’azione liturgica. I fedeli spesso
appaiono ancora relegati o attestati nella posizione puramente passiva di
ascoltatori-spettatori-fruitori di un atto che altri (presidente o ministro)
svolge per loro e davanti a loro”.
La soluzione di questi tre nodi è
compito dell'attuazione seria della riforma liturgica, dello spirito e della
verità che dobbiamo attuare e scoprire in un piano organico di pastorale
liturgica
Giovanni Paolo II in Vicesimus
Quintus annus, così afferma:
-
Se infatti la
riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II può considerarsi ormai posta
in atto, la pastorale liturgica, invece, costituisce un impegno permanente per
attingere sempre più abbondantemente dalla ricchezza della liturgia quella
forza vitale che dal Cristo si effonde alle membra del suo corpo che è la Chiesa.(n.10)
-
La costituzione Sacrosanctum Concilium ha espresso la
voce unanime del collegio episcopale, riunito attorno al successore di Pietro e
con l’assistenza dello Spirito di verità, promesso dal Signore Gesù (cfr. Gv
15,26). Tale documento continua a sostenere la Chiesa lungo le vie del
rinnovamento e della santità incrementandone la genuina vita liturgica.
I principi enunciati in questo documento
orientano anche per l’avvenire della liturgia, di modo che la riforma liturgica
sia sempre più compresa e attuata. “E’ necessario, dunque, e conviene
urgentemente intraprendere di nuovo un’educazione intensiva per far scoprire le
ricchezze che contiene la liturgia”.( n.14 )
A ciò può introdurvi la
riflessione di questi giorni.
1. Comprendere il mistero
La liturgia non è una cosa
(gesto, atti, parola, rito) da compiere, è un mistero da scoprire, da incontrare, un mistero del
quale si entra e dal quale ci si lascia afferrare per essere trasformati. Per
questo il Vaticano II non ce ne dà una definizione, ha offerto gli elementi dai
quali possiamo derivarne la natura e il contenuto.
Sin dal n.2 la Costituzione ci dice
che nella liturgia, specialmente nell’Eucarestia, si attua l’opera della nostra
redenzione, si assimila il mistero di Cristo per esprimerlo nella vita e si
manifesta la genuina natura della vera Chiesa. Non si tratta di assimilare e
vivere un enunciato di fede teorica, un concetto teologico o pastorale, ma di
accostare come Chiesa in atto, il mistero di Cristo che ripropone a noi l’opera
della redenzione compiuta una volta per sempre nella storia.
Infatti questo Mistero, continua la Costituzione nei
nn.5-8, è perfettamente percepibile e a portata dei sensi dell’uomo, a lui si
dirige, per lui si attua e si perpetua. E’ anzitutto una persona, la persona
del Verbo fatto carne, unto dello Spirito Santo, medico di carne e di spirito,
mediatore tra Dio e gli uomini, che nella sua umanità unita alla persona del
Verbo fatto carne, prima per prepararlo e farlo riconoscere, dopo per essere riempita
dall’azione della Chiesa, che, nella sua umanità, succede all’umanità del
Cristo Signore per portare gli uomini alla gloriosa venuta finale dello stesso
Signore.
Per facilitarne la lettura e
farne percepire meglio l’unità, il Concilio riconduce tutto il mistero di
Cristo e le sue fasi al “mistero pasquale…”(n.5). La Pasqua è nel mistero di
Cristo, il punto centrale, storico e salvifico, come lo è stata nell’economia
della salvezza del popolo dell’Antico Testamento. La centralità del mistero
Pasquale, non come avvenimento storico, ma come mistero a cui dobbiamo
conformarci continuamente in un passaggio progressivo dalla morte alla vita, è
una pagina ricca di prospettive nella liturgia e nella teologia del dopo
Concilio.
Ma è soprattutto nella liturgia
che appare questa centralità del mistero della Pasqua. Da esso nasce il
meraviglioso Sacramento della Chiesa, che nello Spirito pasquale raccoglie
l’eredità di Cristo.
La Chiesa si trova depositaria
dei segni sacramentali, in particolare dell’Eucarestia, in essa ha il convito
pasquale, memoriale della morte e Risurrezione di Cristo, ad essa convergono
tutti gli altri Sacramenti e riti sacramentali con cui la Chiesa distribuisce ai
fedeli la grazia della Pasqua. Nel Battesimo il credente viene immerso nella morte
di Cristo per risuscitare con lui a vita nuova. Nella Penitenza il peccatore è
riconciliato al Padre nel mistero della morte e Risurrezione del Figlio e
nell’effusione dello Spirito della Pasqua.
Il ricordo della Pasqua è al
centro della celebrazione della Domenica in cui la Chiesa si ritrova
nell’ascolto della parola e dell’azione di grazia per il suo rinnovarsi nel
memoriale del Signore; ed è il vertice che illumina tutto il mistero di Cristo
distribuito nell’anno liturgico.
Tutta la liturgia della Chiesa è
inondata dalla luce del mistero pasquale del Signore ed è redento dalla forza
(virtus) che ne deriva. L’azione pastorale deve tendere a far assimilare e
vivere questo mistero dai fedeli.
Il n.61 della Costituzione sulla
Liturgia contiene una notevole sottolineatura pasquale dell’efficacia dei
sacramenti, della grazia che da essi deriva nel suo dinamismo di configurare il
credente al Cristo pasquale nel suo passaggio progressivo dalla morte alla
vita.
La dottrina di S.Paolo a
proposito del Battesimo, nel cap.6 della lettera ai Romani, va analogamente
applicata a tutti i Sacramenti della Chiesa e dice chiaramente che il mistero
pasquale sarà completo solo quando ciò che è stato compiuto in Cristo lo sarà
anche nei singoli credenti e in tutta la Chiesa.
2. Il Mistero si attua “oggi”
Il mistero celebrato nella
liturgia è una persona ed è una storia: è il Cristo e la storia dell’uomo piena
della presenza di Cristo, che diventa perciò storia della salvezza.
La liturgia contempla, canta,
rende presente e operante questo mistero. Nella sua realizzazione è legato a
segni umani, quali la persona individuale, il tempo, le circostanze, i luoghi
che appartengono ad un passato ben definito e non più recuperabile. Eppure
diciamo che il mistero è ancora presente e operante oggi. Come? Perché?
La categoria del segno è
stata ampiamente scelta da Dio per compiere storicamente e rendere sempre
presente la salvezza contenuta nel mistero di Cristo. Nel segno è stata
realizzata storicamente e fatta comprendere all’uomo, nel segno è possibile
ripresentarla oggi in tutta la sua gloria.
E’ giocando sui “segni
sacramentali” che la Chiesa,
in obbedienza al piano di Dio e alla sua missione, ha la capacità di rendere
sempre presente il mistero della salvezza. Il rito, la celebrazione, gli
elementi materiali di parole, gesti, cose messe in atto per ricordare il
mistero del passato, lo rendono presente nella sua efficacia salvante.
Ciò avviene “facendo memoria”,
“celebrando il memoriale” del mistero mediante un’aziore rituale con gli elementi
scelti da Dio e dalla Chiesa.
Non si tratta di una semplice
memoria affettiva o psicologica o storica, è un prestare opera, materia, parola
all'azione dello Spirito di Dio che per l'azione della Chiesa e il ministero
dei ministri, continua ad aprire all’uomo, oggi, la realtà del contenuto
salvifico del mistero compiuto storicamente in un momento definito del passato.
Questo significa il memoriale che
la liturgia della Chiesa celebra per attualizzare il mistero della salvezza e
renderlo accessibile all’uomo perché vi entri e ne abbia parte. E’ il cammino
scelto da Dio nelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento, dal momento
dell’Esodo alla conclusione della cena pasquale, per dare a Israele e alla
Chiesa la possibilità di vivere i “mirabilia Dei” nella loro pienezza.
Nella celebrazione del memoriale
occorre leggere nei segni non solo il valore dell’elemento e della sua
efficacia naturale (ad es. nell’acqua la capacità di lavare, rinfrescare,
dissetare) ma l’azione e l’intenzione di Dio nel servirsi degli elementi per
manifestare, operandola, la sua salvezza, facendoli, cioè diventare “segni”.
Perché l’agire di Dio completa e perfeziona il significato degli elementi umani
elevandoli a valore sacramentale; sublima, trasforma il valore della creazione;
supera e perfeziona, trascendendolo, il piano di ogni religione naturale.
Si pensa alla ricchezza dei temi
biblici dell’acqua e del bagno sacro, dell’unzione sacra (per re, sacerdoti e
profeti), del sacrificio e del banchetto sacro, oltre che del pane e del vino,
dell’alleanza e delle nozze tra Dio e il suo popolo.
In questa luce si comprende come
il segno sacramentale, nell’efficacia della sua azione, non offre soltanto la
grazia in astratto ma, unendo al Cristo presente, fa rivivere gli aspetti del
suo mistero, e addirittura fa risentire l’efficacia salvante delle meravigliose
opere di Dio seminate nella storia della salvezza. La grazia del sacramento è
immersione nel mistero di Cristo, presente nella sua totalità e nel suo valore
salvante.
Per il Battesimo, Paolo non parla
di comunicazione della grazia in astratto, ma di “morire con Cristo”, di
“essere sepolti con Lui” per “risuscitare con Lui”. La grazia è contenuta e
sgorga da questa misteriosa vicenda del cristiano che nel sacramento rivive
realmente con il Cristo stesso questi suoi atti salvifici, divenendo partecipe
del suo mistero pasquale.
Lo stesso per l’Eucarestia,
sacramento del sacrificio di Cristo, prima ancora che sacramento della sua
presenza. La sua celebrazione non è solo rendere presente il Cristo in corpo,
sangue, anima e divinità, ma un proclamare la sua morte e Risurrezione finché
egli venga, facendo memoria, cioè ripetendo e rivivendo gesti e parole di Gesù
nella notte in cui fu tradito, gesti e parole inquadrati allora nel far memoria
dei grandi avvenimenti dell’Esodo e
della storia di Israele.
3. Per l’azione dello Spirito Santo
Abbiamo parlato della presenza di
Cristo nella liturgia. Per completare la visione del mistero, occorre accennare
all’azione dello Spirito pasquale che
assiste la Chiesa,
le insegna il cammino per andare al Padre passando per il Cristo, ispira la sua
lode e l’azione di grazie e sostiene la sua opera di santificazione. E’
l’azione dello Spirito di santità e di grazia. Il tema stesso di questa
riflessione suggerisce di non dimenticare questo Spirito, che guida a celebrare
nella verità.
Accenno solo ad alcuni momenti
significativi della presenza e dell’azione dello Spirito nella liturgia. Quello
Spirito che ha operato la salvezza dell’uomo nell’umanità visibile del Verbo,
che ha consacrato e manifestato la sua funzione sacerdotale dall’intimo
dell’incarnazione all’offerta sulla Croce, è presente ancora per creare il
nuovo corpo di Cristo che è la
Chiesa, per farne la vittima spirituale che il sacerdozio universale
presenta al Padre insieme al Cristo immolato sulla Croce. Questo popolo di Dio,
lo stesso Spirito lo accoglie nel tempio spirituale ed eterno che è il Cristo
glorificato.
A lui ispira la lode, l’azione di
grazia, la supplica con cui Cristo unisce intimamente a sé la Sposa nella preghiera per
ogni uomo.
Ma è soprattutto nei Sacramenti,
che l’azione dello Spirito è messa in risalto dalla Chiesa. Lo Spirito viene
invocato nell’epiclesi pronunciata su colui che partecipa al sacramento o sulla
materia del sacramento, perché lo impegni, lo trasformi, lo faccia veicolo di
santificazione.
Lo Spirito agisce
nell’Eucarestia, dove lo invoca perché siano consacrati i doni sacrificali, e i
fedeli come frutto della comunione con Cristo immolato, realizzino tra loro la
comunione che fonda la Chiesa.
E’ presente nel Battesimo di
acqua e di Spirito Santo come principio della conformazione al Cristo morto,
sepolto e risorto, nella sua missione di re, sacerdote e profeta. Lo Spirito
dato in remissione dei peccati viene donato nella Penitenza come principio di
riconciliazione e di rinnovamento.
Non può mancare lo Spirito nelle
ordinazioni dei ministri sacri per conformarli al Cristo Capo e riempirli della
capacità di guida, di discernimento di servizio.
Anche tutte le altre azioni
liturgiche della Chiesa, e la stessa preghiera non liturgica, sono vivificate
dalla presenza dello Spirito: egli opera l’unità della Chiesa orante, è
mediatore del Figlio in tutta la liturgia.
I molteplici segni con i quali
viene espressa e significata la sua presenza e la sua funzione in ogni azione
liturgica, sono espressione della costante fede della Chiesa nella sua azione.
Questa presenza sia accolta e adorata autenticamente, affinché sorgente di una
rinnovata Pentecoste di santità e di grazia, di celebrazione nello Spirito e
nella Verità, dono dello Spirito.
Percepire la presenza
Dio, abbiamo visto, ha scelto la
via dei segni, dei sacramenti, per rendere presente il mistero di salvezza del
Cristo e la stessa persona di Lui come sorgente di salvezza.
Il far memoria del mistero getta
come un ponte tra il lontano momento storico della realizzazione e l’oggi.
Nella liturgia della Chiesa, la parola “oggi” non esprime il rapporto di
cronologia tra la data dell’avvenimento storico e la celebrazione, ma piuttosto
la fede nel ripresentarsi della salvezza
di quel momento ormai remoto. Come il pio israelita che celebrava la cena
pasquale, professava la sua fede di sentirsi salvato perché credeva di essere
uscito dall’Egitto in “questa” notte (la notte della cena pasquale) insieme ai suoi padri, così la Chiesa rende partecipe ora,
“oggi”, all’opera di salvezza del suo Signore, in quell’atto in cui la liturgia
ne fa memoria.
“Oggi Cristo è nato, oggi è
risorto, oggi è tornato al Padre, oggi ha inviato lo Spirito Santo”. Un oggi,
dunque, che non è solo ricordo, ma presenza salvante, effettiva, perché si
tratta della presenza del Cristo pasquale, vivente, del Signore.
Nei segni della celebrazione
Per percepire questa presenza
occorre fissare lo sguardo della fede sui segni della celebrazione.
Il primo è materialmente, quello
dell’Assemblea, il vero attore della celebrazione, nell’esprimere la fede e
fare memoria, nel cantare la lode e l’azione di grazie, nel supplicare.
Ogni assemblea che si raduna per
la celebrazione liturgica è segno del popolo di Dio, della Chiesa, anche con
tutti i limiti della sua composizione: il n.26 della Lumen Gentium parla anche di assemblee povere, disperse. In esse il
Cristo continua la sua presenza, promessa a chi si raduna nel suo nome, e
continua a formare il Corpo di cui è capo, per farlo entrare nella realtà del
suo mistero.
Presente nell’assemblea radunata
nel nome di Cristo, è particolarmente presente nella persona del ministro
ordinato che presiede. E’ il secondo segno. Partecipe della comune
configurazione a Cristo, re, sacerdote e profeta in forza del Battesimo, per
l’Ordine Sacro è ulteriormente configurato a Cristo-Corpo ed ha come Lui la
missione di accogliere i fratelli e di presiedere la loro assemblea nel nome e
in persona di Cristo. Egli ha alcuni compiti che gli sono strettamente propri,
che non competono ai suoi fratelli e non possono, quindi, essere assunti da
loro.
Terzo segno è la Parola
Nella liturgia Dio parla al suo popolo e Cristo annuncia
ancora il Vangelo: “E’ lui che parla quando nella liturgia si legge la Sacra Scrittura”
(SC 7).
Questo parlare e questo annuncio avvengono nella Chiesa e ad
opera della Chiesa. Il segno della proclamazione fa diventare attuale il
mistero della salvezza annunciato.
La Parola e il suo annuncio hanno un rapporto stretto
con il mistero che il sacramento rende presente nell’assemblea. Ma siamo
attenti al pericolo di mettere tutta l’intelligibilità dalla parte della parola
e tutta l’efficacia dalla parte del Rito. Ogni Parola di Dio ha un potere
attualizzante, ogni Rito è anche proclamazione del mistero della salvezza.
Viene, in quarto luogo, l’insieme
dei segni sacramentali, sia i sette segni tradizionali chiamati per eccellenza
sacramenti della Chiesa, sia tutti gli altri segni e simboli che la Chiesa ha scelto e accolto
nella liturgia come meraviglioso organismo sacramentale. Occorrerà dare
importanza e prendere sul serio tutto il linguaggio dei segni sacramentali
(cose, gesti, parole, simboli) per non ridurre a pia finzione e puro ricordo
psicologico soggettivo il profondo realismo con cui la Chiesa significa non solo
la grazia ma anche i misteri di Cristo e li celebra ripetendo instancabilmente
“oggi Cristo è nato” , “questo è il giorno fatto dal Signore”.
Sono quattro modalità della
presenza di Cristo pur strettamente legate alla celebrazione liturgica e che
nulla tolgono a quelle altre modalità legate al prima e al dopo della liturgia,
quali la presenza di Cristo nell’esercizio della preghiera personale o comunitaria,
nell’esercizio della catechesi della Chiesa o nella testimonianza della carità,
o nella pratica dell’ascesi richiesta alla vita cristiana.
La presenza del mistero di
salvezza nella celebrazione non è solo simbolica o affettiva, ma reale ed
operante efficacemente; così è reale la presenza personale del Cristo. Fuori
dubbio è la realtà della presenza nell’Eucarestia sia durante che dopo la
celebrazione; ma reali sono anche le modalità di presenza legate al segno
dell’assemblea della proclamazione della Parola, della persona del ministro,
del gesto sacramentale ed eucologico-laudativo della Chiesa. E’ la forma più
efficace di quella presenza sino alla fine dei tempi che Cristo ha promesso
alla sua Chiesa.
A conclusione di questo breve
excursus sul campo della riflessione, ci rimane da chiederci che cosa deve fare
una comunità cristiana, un credente, per arrivare ad una celebrazione che
rispetti la Verità e sia animata
dallo Spirito?
Scelgo alcuni filoni di
orientamento:
1.
Preparare la
vita liturgica.
Preparare la vita liturgica della
comunità come una educazione intensiva che aiuti a recepire i valori
fondamentali della dottrina, a conoscere le tecniche della celebrazione, ad
assicurare l’ambiente e i mezzi per una celebrazione autentica.
Questa
formazione di base dovrebbe scaturire dall’itinerario di fede che la comunità
dovrebbe proporsi sulla base dell’Anno Liturgico, unitamente e come ispirazione
della stessa catechesi di base, come inserimento nel mistero di Cristo e della
Chiesa, attraverso la lettura e la meditazione della Parola, la preghiera che
ne sgorga, la pratica ascetica che la rafforza.
Il
cammino dovrebbe procedere “per Ritus et precis”, partendo cioè e valorizzando
ciò che si fa, si usa, si dice nella celebrazione.
2.
Avere coscienza
di Chiesa celebrante.
Ho ricordato che l’azione celebrativa è segno, immagine della Chiesa
riunita nel nome del Signore. Non è una porzione di Chiesa, è la Chiesa che come realtà in
atto si manifesta in un luogo determinato e ivi rende presente la Chiesa nella sua
cattolicità di mistero e di realtà universale.
Il
raccogliersi, il convenire in unum è segno e stimolo dell’impegno a rompere
l’isolamento, l’individualismo, a presentarsi non come gregge disperso ma come
popolo radunato nell’unità della Trinità, che si fonda sulla fede iniziale e si
rafforza nella carità che scaturisce dal sacramento.
Da
questa unità sperimentata nella celebrazione promana poi la capacità,
l’esigenza di formare Chiesa anche al di là dei limiti temporali e locali,
dell’assemblea liturgica, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro.
3.
Avere coscienza
della ecclesialità della celebrazione.
Il
mistero della Chiesa, non è mistero di contemplazione, deve manifestarsi dal
suo agire. Tre richiami:
·
Il popolo di Dio è un popolo gerarchicamente
ordinato e questo significa che al suo interno lo Spirito di Dio suscita doni,
carismi, disponibilità, servizio.
·
La presenza di diversi carismi e ministeri
4.
Avere coscienza
dell’esercizio del proprio sacerdozio. Ogni battezzato è deputato a dare culto
a Dio e il credente deve viverlo in funzione a tutta l’Assemblea.
Ciò
richiede:
·
Vivere la memoria che si celebra nell’atto
sacramentale e liturgico e questo è entrare nella fedeltà a Dio.
·
Invocare lo Spirito perché renda presente
l’opera della salvezza.
·
Lodare e ringraziare per l’opera della salvezza.
·
Realizzare nella vita ciò che si è celebrato nel
Sacramento.
5.
Far parlare i
segni.
Danno
vita alla memoria, sono guida al contenuto di salvezza del Rito.
·
Spirito di disciplina e fedeltà alle direttive
del libro liturgico.
·
Conoscenza della struttura , delle leggi interne
delle celebrazioni.
·
Utilizzare le singole parti secondo la natura.
·
Mantenere il ritmo delle parti, delle persone,
delle forme.
·
Amare la bellezza degli elementi e delle forme.
·
Curare lo stile delle celebrazioni.
Non dimentichiamo che la vera
glorificazione di Dio sta nell’assimilazione della salvezza operata dal Verbo
del Padre e a noi offerta dalla Chiesa nella memoria delle grandi opere di Dio
affinché la vita divina del Cristo risplenda nella nostra povera carne mortale.
Questo è il frutto gustoso della
liturgia. AUGURI!!!!
Don Alfredo Di Stefano