e
dell’educazione alla fede
Comunità
di ministeri a servizio della mediazione comunicativa
Introduzione
“Fate questo in memoria
di me”(Lc 22, 19)
La cena del
Signore pone i discepoli dinanzi a un “fare”, a gesti da ripetere. Qual è il
loro significato? Si tratta di cogliere la sostanza di ciò che ha fatto il
Signore nel gesto di consegna e di offerta del suo corpo e sangue.
“Fate questo in memoria di me” e
ciò che permette al Signore di essere continuamente presente in mezzo a noi.
L’ultima Cena riassume tutta la vita di Gesù, ripropone il senso di una vita
consumata e donata, e implica una nostra scelta interiore, per accettare i
frutti di quella morte, presenti in questo rito. Se il fare memoria, da una
parte, è fare memoria di Gesù al Padre, raccontando ciò che Gesù ha fatto per
noi (cfr. le preghiere eucaristiche), dall’altra parte il fare memoria ci
conduce a trasformare il nostro cuore innalzandolo al Padre, nello Spirito
Santo. Tutto questo attraverso due vie: la via del silenzio e dell’adorazione,
della contemplazione e della imitazione..
Diversamente
tutto è parola vuota. Il “fare” apre alla nuova alleanza che l’Eucaristia
realizza a celebrarla nella meraviglia e nello stupore, un pasto che ci
assimila alla risurrezione di Cristo e non ci fa vivere più per noi stessi, ma
per colui che è morto e risorto per noi (cfr. 2Cor 5,14). E’ diventare uomini e
donne e attestare la necessità di dare ai nostri giorni il senso della speranza
e del servizio, dell’apertura a un domani che genera amore. Il “fate questo” è
il progetto di una comunità cristiana, dove parole e gesti rivelano la parola
misericordiosa del Padre e dove si attesta la gioia di una fraternità
condivisa: una comunità che nel “fare questo” in memoria del Signore, recupera
il volto raggiante che le permette, ogni giorno, di presentarsi luminosa
davanti al mondo.
Il Ministero è “fare questo”
associarsi all’offerta di Cristo, mediante i riti e le preghiere, e ciò
significa comprendere che la celebrazione esprime il mistero e le esigenze
implicate nella memoria del Redentore. L’attenzione al “come” celebrare trova
qui una forte istanza di impegno, perché il soggetto di ogni celebrazione,
“faccia” l’Eucaristia e l’Eucaristia lo plasmi, rendendola assemblea che loda
il suo Signore.
1. Comunità di ministeri a servizio della mediazione
comunicativa.
a. Fondamenti Teologici.
Soltanto Dio
può “generare” qualcuno che possa partecipare alla sua vita.
La domanda che allora dobbiamo
farci non è:come farà la Chiesa
a suscitare nuovi cristiani? Quali strategie pastorali dovrà essa adottare per
diventare più efficace? Dobbiamo fare una catechesi kerigmatica, antropologica
oppure catecumenale? Non è assolutamente questa la domanda che dobbiamo farci.
Dobbiamo porci invece su un altro piano: cosa accade fra Dio e gli uomini e le
donne che vivono all’alba di questo XXI secolo? Quali percorsi prende Dio per
incontrarsi con essi e farli nascere alla sua vita? Cosa chiede alla Chiesa di
cambiare, trasformare nella sua maniera tradizionale di credere e vivere, per
assecondare quell’incontro?
Prima di proporre la fede o voler
iniziare alla fede, il ministro deve puntare la sua attenzione sulla relazione
che Dio desidera stabilire con quelli e quelle che s’avvicinano a lui.
Decentra la Chiesa da sé, mettendola
all’ascolto contemporaneamente di Dio e del mondo, senza atteggiamento di
possesso, “mettendo giù le mani”…”Chi ero io, per porre impedimento a
Dio?”,chiedeva Pietro ai cristiani più tradizionalisti di Gerusalemme che gli
avevano rimproverato d’essere entrato in casa del pagano Cornelio.
Prima di parlare di iniziazione e
darsi a organizzarla, bisognerebbe dunque parlare di generazione e
d’accoglienza d’un misterioso dono d’un incontro. In un mondo secolarizzato, la Chiesa prende coscienza che
non le tocca inquadrare le nuove generazioni come fossero delle reclute, ma
generare a quella vita di cui essa stessa vive.
Solamente dopo
che la Chiesa
si sarà data a questo decentramento si potrà parlare di iniziazione. E’
partendo da questo mistero che le parrocchie possono riflettere sulla loro
missione e sulla loro capacità d’accompagnamento e d’iniziazione. In questo mio
intervento è dunque verso una logica dell’iniziazione che suggerisco di
orientare il nostro ministero.
Assume come suo punto di partenza
il fatto che si tratta d’un processo di generazione alla vita di Cristo, ciò non
riuscirà mai a evitare i vicoli ciechi in cui ti tengono prigionieri le logiche
dell’amministrazione dei sacramenti. Tutto lo sforzo per ripensare e rilanciare
le nostre pratiche nel campo dell’iniziazione cristiana, per quanto generoso e
zelante, non potrebbe mai sfociare, neppure
nel migliore dei casi, che a una modernizzazione della
pratica attuale. Credo che il problema non è tanto preparare a dei sacramenti
ma far entrare nella vita” .
b. Lasciare che il mistero arrivi all’uomo.
La
fede cristiana è dunque, nella sua origine, nell’ordine della rivelazione e
della risposta. La sua prima caratteristica non è quindi d’essere una ricerca
da parte dell’uomo, né un sistema religioso o un codice morale. E’ invece una
presenza che s’offre nella storia e chiede semplicemente di venire accolta. La
fede cristiana come risposta a un’avance,
a qualcosa che si dà gratuitamente, si rivela adulta nella sua attiva
passività, cioè nella sua disponibilità ad accogliere liberamente ciò che
gratuitamente le viene offerto. Questa dimensione di libertà nell’accoglienza è
ciò che qualifica la fede adulta in quanto ricettiva, e dunque massimamente
attiva, perché liberamente disponibile.
E’ nel mistero della Rivelazione che Dio si
comunica di persona. Questo mistero d’amore di Dio non si può “conoscere” o
sperimentare se non lasciandolo venire a sé. Non si entra nel mistero, ma a
esso si viene iniziati. Una riflessione d’un famoso vescovo africano, mons.
Anselme Sanon, mette bene in risalto tutta la ricchezza d’una riflessione sul
concetto di iniziazione:”Presentare l’iniziazione cristiana come una vera
iniziazione significa riportarla sul suo terreno specifico, terreno d’una fede
in cui la verità non è data allo stato nudo. La verità è Qualcuno, e
l’approccio a Lui esige un’iniziazione, un approccio del mistero”.
Per questo è opportuno
ricordare che in teologia fondamentale questo concetto rimanda a più d’un concetto
centrale del cristianesimo:
Ø
quello d’un passaggio.
Il ministero è il risultato d’un passaggio, d’una rottura, d’un
interrogarsi che eccita nell’uomo il desiderio di Dio e di lasciarsi da lui
abitare. Questo passaggio apre l’uomo una rinascita. Nel cristianesimo, il
passaggio è un simbolismo centrale. Nella lettera di Paolo ai Romani leggiamo:
“O non sapete che tutti quanti noi che siamo stati battezzati nella sua morte?
Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme con lui nella morte, perché
come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre,così
anche noi possiamo camminare in una vita nuova?”. “Venire iniziati alla vita
cristiana significa predisporsi a entrare nel mistero di Cristo, fino alla
morte di lui, e rinascere nello Spirito a una vita nuova che si struttura a
poco a poco”;
Ø
quello d’un impegno:
nel cristianesimo si rischia un’esistenza. Il cristianesimo non è una gnosi, ma
una vita. La fede non s’insegna, si vive e si confessa. Venire iniziato al
cristianesimo significa esporre la propria vita ed entrare nel mistero, nella
sfera d’esistenza di Dio. Credere non è soltanto sapere (Gesù non fu un
insegnante, non aprì scuole né università), ma camminare sulle orme del
Galileo. “La nostra catechesi non è fatta anzitutto di idee astratte, d’un
sistema di verità teologiche che Dio avrebbe direttamente esposto, ma annuncia
degli avvenimenti, delle persone e delle realtà e delle attività concrete,
positive, storiche.
Quando Dio volle fare il catechismo agli uomini, scrisse e fece una
storia: si mise dentro la storia.
Il suo amore si manifestò in fatti. L’oggetto
della nostra fede e della nostra catechesi è dunque quella serie d’avvenimenti
e gesta di Dio”:
Ø
quello d’una filiazione:
nell’inizazione- pensiamola suo rito centrale, con l’invocazione della Trinità,
cioè alla formula battesimale- s’inaugura una comunità con Dio, invocato come
Padre, Figlio e Spirito Santo. Mediante l’inizazione siamo destinati a essere
figli (“figli nel Figlio”), a entrare nel rapporto del Figlio con Dio e venire
inseriti nell’unità dello Spirito con il Padre. Venire battezzati significa
essere chiamati a partecipare al rapporto di Gesù con Dio. Il battesimo non può
avvenire che al passivo: nessuno si inizia da se, ma viene iniziato, perché
nessuno può farsi Figlio da sé! Bisogna per forza che lo diventi. Prima di
fare, bisogna ricevere;
Ø
quello d’una fraternità:
se l’iniziazione fa entrare in una filiazione, fa entrare anche in una
fraternità, cioè nella grande famiglia di tutti quelli che, insieme con noi,
sono figli. Ciò crea una nuova parentela. Attaccarsi a Cristo sempre attaccarsi
anche a tutti quelli di cui a voluto fare un solo corpo. Già qui, nella formula
trinitaria, scorgiamo tutta la dimensione ecclesiale del battesimo, una
dimensione che non s’appiccica da fuori, ma, dopo Cristo, fa parte dell’idea
stessa di Dio. Nascere da Dio significa venire introdotti nel Cristo totale, capo
e membra.
2. La ministerialità è
una esperienza di vita ecclesiale
La mediazione
comunicativa del Vangelo si regge su quattro pilastri: la ministerialità porta
con sé principi innovativi ispirati dai pilastri dell’attività catecumenale.
a. Un’esperienza di
vita ecclesiale.
La comunità della salvezza è
inseparabile dalla salvezza offerta in Gesù Cristo. La posta in gioco è
scoprire che la relazione con Cristo, che l’appartenenza a una comunità
ecclesiale è intrinseca all’ esperienza di fede. Nel contesto individualistico d’oggigiorno-
in cui la fede viene spesso vissuta come una faccenda tutta privata e
personale-, ciò è particolarmente difficile.
Gustare
un clima di fraternità nel vivo di relazioni personalizzate e personalizzanti
fa parte del percorso catecumenale. Perché il battesimo innesti sul Corpo di
Cristo è vitale che i catecumeni vengano accolti, accompagnati, sostenuti come
tali da una comunità. Devono poter trovarci il loro posto “ordinario”. Sarà
così che, dopo i sacramenti dell’iniziazione, continueranno a trovarsi “a casa”
nell’assemblea. Ma ciò suppone per esempio che non si separi il loro gruppo
d’accompagnamento(gruppo liturgico, gruppo biblico ecc.) dalla vita “ordinaria”
d’una parrocchia. Suppone anche un reale sostegno da parte di quei praticanti
regolari cui s’affiderà la missione del padronato(sponsores).
b. La ministerialità è
mettersi in ascolto della parola, è lo studio delle scritture.
Mettersi all’ascolto della
Parola, ascoltare le grandi narrazioni fondatrici, decifrare la propria
esistenza alla luce di questi testi…il rapporto con la Bibbia è costante e vitale,
per marciare verso la vita cristiana.
Leggendo le scritture, la comunità invita
anche i catecumeni a collegare testo e Parola(per esempio, questo o quel passo
della Bibbia “mi parla” in maniera sconvolgente), Parola di Dio e parola
personale, parola personale e parola d’un gruppo, della Chiesa cattolica, della
Tradizione viva…
“Ignorare le scritture è ignorare Cristo”(san
Gerolamo):vivendo il confronto con la
Bibbia insieme ai futuri battezzati / cresimati /
eucaristizzati, le nostre comunità accetteranno la sfida d’un ritorno alle
fonti benefico per tutti.
Lo studio delle Scritture nutrirà una
catechesi per tutta la comunità, in linea con i tre tipi trasmessi fin dal
periodo patristico:
Ø
una catechesi biblica essenzialmente narrativa;
Ø
una catechesi dottrinale (e morale);
Ø
una catechesi mistagogica, quella specifica del
ministro. Quest’ultimo tipo d’accompagnamento aiuta, dopo la celebrazione dei
“misteri” (i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana), ad andare a tutto il
senso e tutta la profondità del dono ricevuto. E in questa direzione, non
dovremmo noi maggiormente valorizzare il tempo pasquale? I cinquanta giorni
dopo la Pasqua
sono di già concepiti come una grande catechesi mistagogica, destinata a
guidarci alla pienezza della vita pasquale…
c. La ministerialità è
un’attività di conversione.
È la dimensione etica del percorso catecumenale: mettersi a poco a poco a vivere in
armonia con la Parola
ascoltata, mettere i propri comportamenti in sintonia con la relazione di
comunione con Cristo.
Giungerà infatti anche il momento in cui,
lungo il percorso battesimale, i problemi etici diventeranno cruciali: a quale
inversione (metànoia) sono chiamato?
Quali scelte di vita devo fare? O come riorientarle (vita di coppia, in
famiglia, nella professione, denaro, impegni…)?
Per le nostre comunità, è una questione
che si fa tremenda: se le nostre liturgie sono lontane dai problemi attuali in materia d’etica sociale,
politica, familiare, come potremo iniziare a una vita nuova quelli che Dio ci manda?
d. La ministerialità è
educazione all’interiorità.
Il risveglio all’interiorità
personale e, alla dimensione liturgica comunitaria è uno dei criteri
dell’autenticità del cammino.
Il gusto per la vita spirituale, sacramentale,
liturgica non si può dare al di fuori della vita d’una comunità locale.
Nel
silenzio e nella lode, nell’apprendistato della preghiera e la bellezza della
liturgia, la comunità può eccitare nei nuovi arrivati la sete di
contemplazione, di vita interiore, fino a quel dialogo intimo in cui la
solitudine si fa abitata…
Ecco dunque quattro pilastri –
tipici dell’iniziazione cristiana – che una comunità deve prendere a proprio
schema di valutazione e giudizio.
Sempre
con questa lancinante prospettiva: proporre l’incontro con Cristo a quelli che
ancora non lo conoscono…
A completamento di questa presentazione dei
quattro pilastri del catecumenato mi vien qui utile citare la formulazione dei
vescovi francesi riuniti a Lourdes nel novembre 2004. In quell’occasione
essi rilessero in una prospettiva
pedagogica la struttura dell’iniziazione cristiana, facendola ruotare
attorno a sette punti-guida. La pedagogia
della fede:
-
si fonda su una libera
scelta
-
si inserisce in un cammino
-
apre alla lettura della Bibbia
-
si radica nella storia
-
apre su una speranza che si spinge al di là d’ogni morte
-
prepara ad un dono gratuito
-
inaugura una vita di ringraziamento
A questo punto, per completare la
prospettiva pedagogica insita nel
mistero, potremo aggiungere ancora altre vie d’accesso al mistero
cristiano, come la creazione, l’arte (la bellezza), la salute (guarigione,lotta
contro il male…) la cultura.
3. La ministerialità è
iniziazione attraverso la
Liturgia
Una
Domenica, durante l’eucaristia, nel primo banco siede una bimbetta di cinque anni.
Con lei ci sono i genitori, nel banco dietro. Al momento del Gloria, i fedeli
cantano un inno di Taizè, “Gloria in excelsis Deo”, alternandosi con la corale.
L’animatore dei canti è davanti alla bambina. E vedo che lei sta osservando –
occhi sgranati – i suoi movimenti, quando al ritornello si gira verso
l’assemblea. Un poco alla volta comincia a muovere la labbra e a mormorare le
parole del ritornello. Dall’esitazione passa all’entusiasmo. E’ trascinata dal
gioioso canto. Anche i genitori se n’accorgono. Sorridono. Ho l’impressione che
ne siano inteneriti. Un momento di felicità.
a. La pedagogia della liturgia…non è evidente oggigiorno.
Partendo dal nostro esempio, vorrei qui
formulare due miei convincimenti. Non è sempre facili collegarli, ma a me par
necessario tenerli uniti.
Il primo è che oggi abbiamo bisogno
d’una sorta di fiducia di fondo nella capacità espressiva della liturgia. Con
la grammatica che le è propria, una grammatica che fa appello alla sensibilità,
la liturgia dà delle chance notevoli
all’iniziazione alla fede. Con il suo linguaggio, i suoi riti, la liturgia è a
volte ben più “parlante” dei discorsi, quando sia questione d’evocare
l’iniziativa e la presenza di Dio, d’esprimere il suo desiderio d’entrare in
comunione con gli uomini. E’ importante “credere” nelle risorse specifiche
della liturgia: dei rituali svolgono un ruolo essenziale nella tradizione della
fede. Spesso sono più “efficaci” (da facere, fare…)degli insegnamenti o dei discorsi.
Fanno appello a tutta la nostra persona e mettono in moto il corpo
umano.
Oggi la nostra prassi resta ancora sempre caratterizzata da un approccio
piuttosto intellettuale alla liturgia, un approccio tendente assai più a
spiegare e giustificare che ad inaugurare un’esperienza di fede. Crediamolo,
dunque, che anche la liturgia può “parlare” e toccare il cuore degli uomini!
Nello stesso tempo, tuttavia, dobbiamo
essere lucidamente coscienti che nella nostra attuale cultura non è evidente
che la liturgia inizi delle persone alla fede cristiana. In effetti, in questo
processo d’iniziazione sono molti gli elementi che entrano in gioco per il suo
buon esito. E su molti di essi noi non abbiamo alcuna presa diretta. Nel caso
per esempio di quella bimbetta, un ruolo assai importante l’ebbe la meraviglia.
Ed effettivamente, è impossibile sperimentare di persona il senso della
liturgia se da parte di chi partecipa non c’è una qualche ricettività,
un’apertura a un’esperienza da cui uno si lascia prendere, piuttosto che
prenderci qualcosa. Ebbene, la meraviglia non è un qualcosa che uno possa
organizzare o suscitare con le proprie forze. Al contrario, è evidente che
nella nostra cultura attuale è piuttosto l’atteggiamento dell’indifferenza a
costruire una sfida ben seria per l’iniziazione religiosa. Son già tanti i
ricercatori che han messo in risalto una certa qual incapacità delle persone ad
aprirsi all’azione rituale e alla logica sensibile della liturgia. Incapacità e
impotenza che a volte già si manifestano quando dei partecipanti assumono un
contegno da “spettatore” d’uno spettacolo e mantengono le distanze dalla
celebrazione.
Ma
anche a quelli che sono interessati ci vuol tempo e pazienza per
familiarizzarsi con la liturgia cristiana. E’ un altro punto scabroso. Nella
nostra cultura attuale, spesso le persone s’aspettano delle risposte immediate
ai loro interrogativi. S’aspettano che la loro ricerca di subito dei
“risultati”. Non rivela il suo senso di primo acchito.
b. Un ministero che
cura la celebrazione: l’arte di celebrare.
Nel processo d’iniziazione alla
fede esistono dunque vari fattori che la Chiesa non riesce a controllare: non è certo in
un batter di ciglia che si può far cambiare direzione a una corrente culturale!
Ma su altri elementi, almeno in parte un po’ di presa l’abbiamo. Sono in
particolare la maniera concreta di fare le celebrazioni liturgiche e l’arte di
celebrare la liturgia, in modo tale che le persone vi possano in qualche modo
gustare la presenza di Dio. Ciò suppone, in tutti quelli che hanno un ruolo
nella celebrazione, una viva coscienza della natura simbolica della liturgia.
Vogliamo dire che le immagini, le parole, le azioni ecc. che costituiscono la
liturgia intendono sempre evocare qualcosa che non si può vedere o esprimere
con immediatezza, cioè la presenza misericordiosa s salvifica del Dio vivo.
Attraverso gli elementi e i gesti sensibili la liturgia vuol far scoprire ai
partecipanti che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono all’opera in
maniera nascosta e discreta. Sant’ Agostino sintetizzò questa natura simbolica
della liturgia nella massima: per
visibilia ad invisibilia. Significa che attraverso le cose visibili la
liturgia vuol mettere in relazione con le cose invisibili.
Potremmo
formulare in questa maniera la sfida che è l’arte di celebrare: “celebrare la liturgia con un grado tale di
fede e di conseguente attenzione interiore da far arrivare alla scoperta sia
della presenza effettiva di Cristo sia dell’esperienza d’aprirsi personalmente
a quella presenza e quell’operosità divine”.
Di conseguenza, importantissime sono le domande che devono farsi chi
presiede e tutti quelli che alla celebrazione collaborano:”come posso aiutare i
miei fratelli e le mie sorelle di fede a percepire la presenza del Padre, di
Gesù Cristo e dello Spirito Santo al momento della liturgia? Come stimolo
l’incontro fra Dio e gli uomini, nella mia maniera di parlare, cantare,
muovermi o raccogliermi?”.
È
chiaro che il ruolo iniziatico della liturgia è in rapporto diretto con la
sensibilità che una comunità sviluppa per l’arte di celebrare. Arte che
s’esplicita in tutta una varietà d’elementi tenui e concreti.
c. Un ministero che fa del linguaggio liturgico la propria
preghiera.
Nella liturgia, il primo fine del
linguaggio è esprimere e creare la comunione fra Dio e gli uomini. Dunque non
si tratta anzitutto di passare e informazioni, insegnare o istruire . Al centro
dell'interesse qui ci sono la comunicazione e il dialogo. Le parole che
risuonano intendono far sentire che i
credenti sono incorporati nell'Alleanza di Dio. Danno forma alla loro relazione
con Dio e con i loro fratelli e sorelle, e Grazie a ciò la loro relazione viene
nutrita e irrobustita.
Dato
il ruolo centrale della funzione comunicativa del linguaggio, è importante
scoprire il vario reticolo di relazioni che attraverso la celebrazione
s’impianta. Nell'eucaristia, il sacerdote si rivolge alla comunità oppure a Dio
in nome di Cristo e ora al padre o al Cristo in nome della comunità. Quanto al
lettore, egli fa riudire, attraverso la propria voce, la parola del Padre al
suo popolo. In altri momenti, come nella preghiera universale per es., lui o
lei sono il porta-parola dell'assemblea che sta alla presenza del Padre. Nella
liturgia non si parla mai soltanto per parlare. Le parole della liturgia sono
sempre indirizzate alla comunità oppure a Dio: si parla sempre a qualcuno, si
prega in nome di qualcuno, si cade davanti a qualcuno ecc.. Uno può rendersi
conto della varietà dei destinatari dei testi facendosi questa semplice
domanda: “in questo momento, che parla chi?”. È così che si può scoprire come
la celebrazione sia ben di più che un insieme di “testi”. Si può imparare a
viverla come un dialogo assai diversificato fra l'assemblea li riunita e il
Padre, il Figlio e lo Spirito.
Una
volta scoperto quest'aspetto dialogico della liturgia, si può vivere più
intensamente il senso profondo di tutta la liturgia della parola. Nelle letture
bibliche non è più questione di “leggere”, ma è questione della parola viva che
il Padre rivolge ai suoi figli. Secondo l'interpretazione della liturgia, la
proclamazione del Vangelo è la parola che il Signore risorto rivolge di nuovo i
suoi discepoli.
Se
si vuole che il significato profondo di questi elementi rituali sia vissuto
realmente dai fedeli presenti, bisognerà che quel significato sia in qualche
modo manifesto negli atteggiamenti del corpo, nello sguardo, nei movimenti, nel
ritmo e nel tono della voce. Se non c'è sufficiente armonia fra” ciò che si
dice e ciò che si fa” e la maniera con cui lo si fa, la possibilità che le
persone possano vivere la celebrazione veramente come un incontro orante con
Dio diminuisce drasticamente.
d. Un ministero che sa manifestare la dignità delle persone
e il valore delle cose.
La fede cristiana afferma la
dignità unica d'ogni persona. Questa convinzione si fonda sulla fede che Dio
ama tutti gli uomini. Venire iniziato alla fede significa scoprire che si è
amati.
La
liturgia è il luogo in cui uno può integrarsi e fa proprio questo convincimento
della dignità d'ogni uomo. Nell'eucaristia, il presidente saluta l'assemblea
con queste parole:” fratelli e sorelle”. Dio convoca gli uomini e gli fa
passare dalla dispersione alla comunione. Lì aduna nella nuova famiglia che è la Chiesa. È importante
avvertire che nella liturgia la dignità dell'uomo si manifesta in dettagli
concreti. Il rispetto reciproco si manifesta per es. nella qualità della
comunicazione: assemblea ascolta per davvero ciò che il suo presidente dice, e
viceversa? Si ha dell'attenzione
particolare per i bambini? Ogni tanto l'assemblea s’adegua al loro modo di
parlare? I membri della corale partecipano a tutta la celebrazione, oppure
sono” presenti” solamente quando devono cantare? Il presidente guarda
l'assemblea, quando si rivolge a essa? Il tono della voce, la piccola pausa per
lasciar sentire anche le parole dell'altro...son tutti dettagli, ma possono
fare una gran differenza nella maniera di vivere la celebrazione.
Le
stesse cose potremmo dirle circa la maniera di trattare gli oggetti della
liturgia. Un punto centrale della fede cristiana è che la creazione è buona,
perché dono del creatore. I” frutti della terra e del lavoro degli uomini” non
sono” cose” neutre. Portano in sè una capacità di parlare.
Per
questo, essi suscitano un sentimento di gratitudine e lode. In altri casi hanno
un carattere” personale”, perché fanno andare alla presenza di Cristo in mezzo
al suo popolo: il libro dei Vangeli, il cero Pasquale, il calice con il vino e
la patena con il pane, l'ambòne o l'altare non sono degli “strumenti” messi li
per chi presiede l'assemblea o altri ministri; vanno, al contrario, trattati
con rispetto. Tutti gli attori liturgici devono mettersi al loro servizio e
adeguarsi a essi. Gli oggetti materiali fanno apparire il loro senso soltanto
se gli si dà spazio e tempo per” parlare”. È la maniera con cui li si tratta e
rispetta che determina in gran misura il loro peso e il loro valore.
e. Il ministero è gioia di stare davanti a Dio: canto e
musica.
Uno
degli elementi più trascurati della nostra prassi liturgica è il canto
dell'assemblea. Eppure, è una via tutta particolare per far scoprire agli
uomini l'esperienza della fede.
Nella
liturgia, i canti sono una maniera concreta per aiutare l'esperienza di
comunione. Possono inoltre suscitare un clima di gioia e di festa: il
ringraziamento per i benefici di Dio e la gioia per la sua amicizia sono degli
atteggiamenti di fondo della fede, che in una celebrazione uno deve poter
sentire concretamente.
Sono
tutti buoni argomenti per incentivare il canto comunitario nelle nostre
celebrazione.
f. L'eucaristia della domenica e il ministro.
Un luogo centrale in cui si può
scoprire e rinnovare l'esperienza della fede è evidentemente la celebrazione
eucaristica della domenica. L'eucaristia nel giorno del Signore dovrebbe essere
una “scuola di fede”: attraverso lo svolgimento stesso della celebrazione, i
partecipanti vengono sollecitati a entrare nella dinamica della fede biblica.
In questo senso, giustamente
l'eucaristia è chiamata la” fonte” della vita ecclesiale, come dice il Concilio
Vaticano II.( sc 10) Nell’eucaristia della domenica appare l'essenza della
Chiesa: essa è il popolo di Dio, convocato dalla sua dispersione, per diventare
il corpo di Cristo.
Ma
i testi conciliari parlano dell'eucaristia anche come “culmine” della vita
della Chiesa. Questa sua qualità suggerisce che l'eucaristia della domenica, se
veramente vuol assolvere la sua funzione di” fonte”, non può essere un momento
isolato: da sola, l'eucaristia della domenica non basta per iniziare delle
persone alla fede. Ecco allora la grande sfida d’incentivare un'”educazione
all'eucaristia”, educazione che comincia in famiglia. È ben difficile
familiarizzare dei bambini all'eucaristia, se non trovano dei riferimenti alla
fede.
È
importantissimo soltanto di dar suggerimenti e indicare mezzi semplici e dei
momenti di preghiera con i bambini.
La Chiesa renderà un servizio
ben grande ai genitori se li inviterà a incontrarsi per discutere di queste
cose e farsi coraggio gli uni agli altri. Ma dovrà anche rendersi conto di
dover agire con molta delicatezza e pazienza, date le situazioni familiari
diversissime e talora ben difficili in cui oggi molti bambini devono crescere.
Al di là d'una preparazione
lontana all'eucaristia- attraverso cioè gli sforzi di un’educazione religiosa
in famiglia-, bisognerà anche cercare di tessere dei collegamenti fra le
celebrazioni domenicali e la vita di tutti i giorni. Perché non invitare in
modo più schietto i fedeli a preparare l'eucaristia parrocchiale già in casa,
per esempio leggendo il Vangelo del giorno? Se il testo è già stato letto,
spesso è più facile scoprire i canti e certi elementi visivi. Ma anche il
momento di congedo all'eucaristia meriterebbe qualche volta un tempo maggiore. Nè
anzitutto per esortare ogni volta i fedeli a” mettere in pratica ciò che
abbiamo appena celebrato”; ai giorni nostri potrebbe anche essere ben utile
invitare le persone a riprendere in casa- per scambio o riflessione personale-
il messaggio ascoltato e ricevuto. Forse trascuriamo ancora troppo di stimolare
genitori e figli a dialogare fra loro su ciò che hanno vissuto durante la
celebrazione. Anche dei mezzi molto semplici possono essere preziosi a questo
fine.
Conclusione
La nostra intenzione era di far
vedere che la liturgia offre delle chance
notevoli per iniziare delle persone alla fede. Ma ciò suppone, già l'abbiamo
detto, che si prenda sul serio la logica specifica della liturgia e si presti
della grande attenzione alla sua attuazione concreta, che è fatta di molti
elementi tenui ma importanti.
Sulla
base della mia esperienza di osservatore della pratica concreta della liturgia,
a me sembra che ministri, debbano scoprire di persona che l'esperienza
spirituale della comunione con Dio e gli altri fedeli si vive attraverso le
azioni concrete del parlare, guardare, cantare, muoversi, ascoltare… in cui uno
si coinvolge con la bocca, le orecchie, gli occhi e tutto il corpo. E a mano a
mano che” ci si abbandona” al gioco liturgico e vi si partecipa in maniera
attiva, si vivranno anche dei momenti di in cui si verrà - in maniera spesso
inattesa - toccati da qualcosa che accade. Se questa” grazie “arriva, si potrà
di tanto in tanto gustare la comunione profonda che la liturgia appunto vuol
realizzare. In quei momenti la” partecipazione attiva” riceve il suo
significato specifico e fondamentale; attraverso i gesti, le parole e i simboli
che la liturgia ci offre, possiamo fare l'esperienza di venire accolti nella
comunione d'amore intimo che esiste fra il Padre, il Figlio e lo Spirito.
Allora la liturgia coglie il suo obiettivo finale e in essa, mi auguro, ognuno di noi.