Carissimi amici,
membri del Consiglio pastorale,
la
vita e l’azione pastorale della parrocchia non può essere lasciata al caso o al
succedersi estemporaneo di iniziative dovute alla buona volontà del parroco e
dei suoi collaboratori, o di alcuni fedeli.
Il
Consiglio pastorale costituisce lo strumento della comune decisione pastorale e
rappresenta l’immagine della fraternità e della comunione dell’intera comunità
parrocchiale. Se tale convinzione si radica poi nella Parola di Dio e nelle
indicazioni della Chiesa, raccoglieremo molti frutti.
- E allora come il nostro Consiglio può portare i suoi frutti? Come continuare a camminare insieme con un confronto costruttivo?
Nell’ampio
orizzonte delineato dalla riflessione del cammino pastorale della nostra
diocesi, “l’Eucaristica dono sempre da
riscoprire”, prende l’avvio anche il nostro Consiglio, che prolunga la
riflessione del nostro ultimo consiglio, dove al n. 3 trattai della prospettiva
“celebrando l’Eucaristia si diventa
credenti”.
Non
voglio affrontare l’intera tematica dell’Eucaristia, vorrei piuttosto
evidenziare un primo aspetto della celebrazione, quello della convocazione, che è proprio del
riunirsi in Assemblea per celebrare la Pasqua in memoria “di Lui”.
Una
figura dell’Antico Testamento ci richiama la bellezza di questa convocazione
libera, di questa casa accogliente, di questo banchetto pieno di ricchezza, e –
perché no – dell’umile e indispensabile compito di chi è chiamato ad invitare e
radunare un popolo a volte incerto e inesperto.
La
Sapienza si è costruita una casa,
ha
intagliato le sue sette colonne.
Ha
ucciso gli animali, ha preparato il vino
e
ha imbandito la tavola.
Ha
mandato le sue ancelle a proclamare
sui
punti più alti della città:
“chi
è inesperto accorra qui!”
A
chi è privo di senno essa dice:
“Venite,
mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho
preparato.”(
Pr
9,1-5
)
Sottolineare
la dimensione della convocazione è
rispondere a ciò che è la comunità cristiana – la chiesa – l’ekklesia. La
comunità cristiana è convocazione di Dio, proprio perché la predicazione,
all’origine della convocazione stessa, non è parola umana , ma è parola di Dio
che raccoglie e raduna in unità i membri che hanno creduto al Vangelo di
Cristo.
Quindi
all’origine di questa convocazione non
vi sono simpatie umane, convergenze di interessi, appartenenza ad una classe
sociale, ma solo la parola di Dio e, attraverso questa Parola, Dio stesso. Vivere
la comunità parrocchiale come convocazione non significa ridurla soltanto al
momento in cui le persone si radunano per la liturgia, ma ricordare che la
natura profonda che ci tiene insieme è la parola del Vangelo, cioè una parola
che non è semplicemente umana, ma ha in sé la forza dello Spirito Santo.
Anzitutto
mi sento anch'io tra i convocati. Prima ancora di sentire che devo svolgere un
servizio di convocazione per altri, mi sento come se qualcun altro ci chiamasse
lì. Come se io arrivassi assieme a tanti altri. Questo è tanto più vero quando
arrivo alla celebrazione dell'Eucaristia, ma forse non nella migliore delle
disposizioni, quando arrivo e porto le mie stanchezze.
- Da dove provengono coloro che accolgono l’invito e vengono all’Eucaristia? Quale storia, quali attese e quali problemi portano dentro di sé?
Forse
anni di ripetizione e di usura ci hanno fatto dimenticare il miracolo di un
incontro così, il circolo virtuoso che si crea nella convocazione tra Dio, noi
sacerdoti e la nostra comunità parrocchiale non è più riconosciuto nel suo
significati sacramentale.
Qualche volta nella nostra
comunità parrocchiale ho la percezione che più che il senso di appartenenza ci
sia la soddisfazione per l'assenza degli altri. «Pochi ma buoni», si sente
dire, e dietro questa formula sbrigativa campeggiano giudizi insindacabili sui
"cattivi" che mancano (per fortuna!), e segrete speranze di essere ancor meno per
essere ancora migliori. A me questo
senso di appartenenza pare che di cristiano abbia molto poco. Per fortuna il
segno dell'Eucaristia ci riposiziona continuamente, ci fa capire che all'inizio
sta una grazia, quella della chiamata di Dio, e solo attraverso questa grazia,
possiamo continuare a chiamare e a raccogliere.
Una convocazione Eucaristica ricorda e richiama tutto questo: Dio ci
invita, noi invitiamo la gente, la gente a sua volta arriva con attese e
speranze, si aspetta qualcosa e ci chiede di accogliere e condividere, e prega
il Signore che convoca di non stancarsi mai di farlo, perché è nei buoni legami
che la fede vive e si fa strada. In questo snodo di attenzioni e di reciproco
coinvolgimento si apre e si consuma il gesto più grande, si colmano i desideri
del cuore, si depongono le ansie, le sofferenze, le fatiche.
La convocazione me la immagino come qualcuno che aspetta qualcun
altro. Uno si sente convocato perché si sente atteso. Certo è Dio che ci
attende tutti, che ci aspetta, ma mi viene da dire che anch’ io aspetto la
gente, e, mentre la incontro e la saluto, mi dispongo a prepararmi all'Eucaristia.
E capisco che prima di questa accoglienza che provo a fare alla gente, e 'è un
'accoglienza che l'assemblea fa nei miei confronti. Non sono rare le volte che
l'assemblea porta la mia preghiera mentre io sono
altrove con la testa, anziché sull'altare. Non sempre celebro con tutte quelle
disposizioni positive che ci vorrebbero, però mi accorgo che tante volte la
gente è più avanti di me: è l’ assemblea che mi guida e non sono più io che
guido l'assemblea.
Sempre
più le situazioni della vita, soprattutto le contraddizioni di coloro che mi
sono accanto: gli alti e bassi della
fede, i ritmi lenti, pigri e discontinui; le assenze silenziose e
ingiustificate e quelle causate forse da litigiosità, invidie e di gelosie,
diventano la lente, l’angolo di visuale con cui mi metto in ascolto della
Parola e mi chiedo: cosa percepisce
quella persona, davanti ad una parola così?
La convocazione
eucaristica
si colloca al crocevia di tante istanze diverse e talora contrapposte,
sopportando anche tensioni che, almeno sul piano teorico, non sono tra loro sempre
componibili. A Messa ci viene chi crede e chi non crede ma si interroga, chi si
è dato risposte e chi ha solo domande, chi cerca Dio e chi non sa cosa cerca,
chi ha bisogno di conforto e chi non sa più dove sbattere la testa: tutti
dentro una medesima convocazione, tutti dentro un medesimo percorso liturgico,
tutti sotto un medesimo sguardo. È il crocevia della vita, delle tante
esistenze, delle tante storie che si intrecciano, si toccano, si evitano...
eppure vivono sotto lo stesso Mistero. È la ricchezza di una umanità che ogni
assemblea riflette, tanto ricca e contraddittoria, quanto lo è la storia umana
raccolta e convocata da un dono che chiama, plasma e rigenera.
- La gente si sente “a casa” quando viene a Messa? E io? Sente che il suo vissuto entra a pieno titolo nell’Eucaristia? In che misura riesce a gustare questo abbraccio di convocazione e si lascia toccare dal Mistero che celebriamo? Come aiutarci a comprendere che il Signore “raccoglie” la mia storia. Credo che l’Eucaristia debba riprendere in mano questa storia, ma anche tutta la mia vita, deve lasciarsi condurre da questa azione che il Signore compie?
Forse
la cosa sembra un pò astratta, ma io la sento viva nella mia vita. Mi sembra
che ciò che è importante fare è diventare ministri di questo lavoro di
comunione che Gesù continua a operare. E poi è anche il raccogliere una
comunità attorno all'Eucaristia, un convocare le tante "anime" di cui
ogni comunità cristiana è composta, un ritrovarsi come popolo del Signore
attorno allo stesso Mistero che ci genera e ci nutre.
Mi
sembra importante che la Messa domenicale diventi un momento di raccoglimento
anche per tutte le cose che si fanno: iniziative pastorali, gruppo fidanzati, i
ragazzi, i gruppi, le iniziative.
E’
importante anche per dare un 'opportunità alle persone che magari vengono a Messa,
ma non conoscono nulla della parrocchia. Il rischio è quello di appesantire un
po’ la celebrazione, però credo sia opportuno.
La
convocazione Eucaristica è questo
straordinario raccoglimento che si oppone alla dispersione di cui la nostre
giornate sono intrise e insieme accompagnare una comunità parrocchiale che
celebra a varcare la soglia per
vivere e celebrare quel Mistero che l’ha convocata.
- Cosa fare per trasformare quelle tante distrazioni, per disporsi a celebrare un mistero che ci supera? (Assisto spesso ad un rituale che è estraneo alla mia sensibilità e che però sono chiamato a rispettare: arrivare tardi, accendere le candele, salutarsi, baciarsi,… ).
- I Riti introduttivi, con il canto, e lo spazio liturgico che ci accoglie, devono esprimere questa azione, ma noi siamo in grado di “emanare” un’autentica atmosfera di accoglienza, capaci di dialogo, rispettosi delle diversità, sensibili nella solidarietà?
- L’accoglienza inizia prima del Rito liturgico: chi farà gli onori di casa? Chi darà calore familiare all’ambiente? Chi scambierà qualche sorriso, qualche parola meno formale, qualche stretta di mano forte, qualche abbraccio fraterno? Chi testimonierà la gioia di essere attesi e accolti, favorendo il ritorno di alcuni e la puntualità di altri, con la stessa carità con cui siamo accolti da Cristo?
Convocati
dal Signore in Assemblea, da Lui accolti e riuniti nella sua casa, ci apriamo
all’accoglienza di Dio e dei fratelli nella nostra vita personale e comunitaria.
Siamo chiamati a maturare atteggiamenti di accoglienza nella vita comunitaria,
cosicché non viviamo la presenza
dell’altro come colui che ci ruba
qualcosa ( un servizio in parrocchia, un ruolo in comunità, un aspetto o un’
attenzione).
- Come ridare alla nostra Comunità un volto accogliente, come casa della comunione, dove le diverse sensibilità (liturgiche, pastorali, personali) sono accolte, custodite e valorizzate per il bene comune?
- Come essere vigilanti perché in noi stessi, nella comunità e nel territorio, al quale siamo inviati, non prosperino sentimenti e pensieri di chiusura, di non accoglienza dell’altro?
- Come educare a lasciare trasparire nella liturgia, con il canto e la processione d’ingresso, che esprimono con chiara verità simbolica l’ingresso di Cristo nel mondo, il suo venire a convocare i molti nell’unità?
L’accoglienza è indispensabile perché si
costituisca una vera Assemblea, perché la celebrazione sia fruttuosa.
L’accoglienza deve spingerci a collocarci
gli uni accanto agli altri, non come anonimi e semplici consumatori di riti
religiosi, ma come fratelli e sorelle della stessa comunità, che rafforzano il
loro legame, vissuto nella semplicità, nella trasparenza, nella chiarezza.
La
convocazione potenzia il legame di
comunione nella comunità, ci obbliga ad interagire e a relazionarci, a
sviluppare la reciprocità.
Ricordo
a me stesso i durissimi rimproveri contro le riunioni della comunità di
Corinto, che non rispettava il senso della convocazione eucaristica, a causa
dei favoritismi e della mancanza di rispetto verso gli altri e dei membri
poveri della comunità (cf.1Cor. 11,17ss).
Nello
stile di ogni Cappellania, di ogni gruppo, di ogni iniziativa pastorale; nei
vari itinerari di fede, con i bambini, con i giovani, e con gli adulti,
muoviamoci, in questo anno pastorale,
accogliendo il senso e il significato
dell’essere convocati perché accolti, e nel vivere l’accoglienza come
esperienza dell’ essere convocati.
E
allora accadrà che il nostro modo di pensare e di agire come Chiesa si accorda
all’Assemblea eucaristica e l’Assemblea
eucaristica conferma il nostro modo di pensare e di agire come Chiesa.
Con
rinnovata fiducia auguro a tutti un buon
cammino!
Don Alfredo Di Stefano
Parroco