Una
grande croce, quasi una carreggiata trasbordante all'infinito, attraversa la
formella, in prospettiva, da sinistra a destra, portando l'occhio, in alto, ad
est, per far ritorno, poi, costeggiando i limiti di bordo dall'alto in basso
fin sulla punta angolare della croce, a sinistra, da dove si era partiti.
Da
fanciullo, ogni mattino, dalla soglia di casa, ammiravo il sole nascere sul
dosso dei monti ad est e precipitare, in scie di luce, a valle.
Sulla
lunga scia luminosa della croce, come la ridda dei monti a nord-est, si accalca
la turba rissosa, e, sotto, come il mio borgo, quasi schiacciato giace il
Cristo.
La
sua mano è una fragile radice aggrappata al duro calcare. Le sue chiome sono un
arabesco di fili d'oro, una polla di limpidissima acqua che entra nelle crepe,
da cui spunta un candido giglio.