Cari amici, membri del Consiglio Pastorale,
quanti di voi mi frequentano con maggior assiduità,
avranno notato una mia crescente preoccupazione per la situazione parrocchiale.
Avverto un pò di stanchezza, di fatica e di scoramento, che qualcuno a livello
di situazione ecclesiale italiana, ha riassunto in una espressione molto
efficace: “manca il respiro”.
Quale aria respiriamo in
questo momento del nostro cammino?
Sì, direi che il mancare il respiro, non significa
solo avvertire l’affanno dei polmoni affaticati o non irrorati da aria fresca,
ma vuol dire anche constatare “il nostro respiro di credenti”; lo Spirito
del Signore Risorto trova ostacoli nell’aprire mente e cuore alla sua
volontà di pace e vita piena.
Quell’edificio spirituale di cui siamo chiamati ad
essere “pietre vive” (cfr. 1Pt. 2,5) richiede particolare sensibilità di fede,
con le sue necessarie implicazioni, alimentate dal confronto con i fratelli e
le sorelle, attraverso la conversione fraterna, l’ascolto reciproco, la
collaborazione, serena e fedele di ciascuno.
1. Quale il futuro della nostra Parrocchia che conosciamo ed amiamo nella
sua realtà?
Essa si presenta complessa nella sua configurazione,
frammentata nella sua appartenenza, certamente in vista di un suo
continuo cambiamento, per questo siamo tutti interpellati nel suo rinnovamento.
La storia della nostra Parrocchia ha un vissuto
ricco e pieno di frutti. Ricordo in questi anni della mia presenza tra voi, con
soddisfazione, i momenti in cui si sono celebrati i grandi e piccoli eventi
della comunità.
Feste, sacramenti, battesimi, matrimoni. Nel mio
XXV° questo è emerso, preciso e puntuale, illuminante e incisivo.
Ma ricordo anche i funerali di persone
significative che avevano dato la vita per vedere crescere iniziative, come
primi protagonisti nel rendere dignitosi gli ambienti del nostro edificio,
oltre che veder crescere i ragazzi, gli adulti (la preghiera e il loro ricordo
è vivo ancora per tutti loro).
Come non ricordare con gioia le inaugurazioni di
numerose attività, i pellegrinaggi nei vari santuari, la formazione nei suoi
vari tentativi, come indispensabile esperienza di crescita nella fede?
Come non ringraziare il Signore, per la
presenza dei due giovani presbiteri collaboratori della nostra comunità, don
Patrizio con il ruolo di vice – parroco a cui è stato affidata l’animazione
della comunità della Quercia, e don Giovanni, con la sua presenza nella
comunità di Valfrancesca e nell’animazione dei nostri giovani?
La fraternità condivisa, il confronto e il dialogo
vissuti tra noi presbiteri, nella concretezza delle situazioni, siano segno di
crescita e di testimonianza: le due Vicarie hanno ripreso un ritmo sereno
e fruttuoso.
Ma quale sarà anche il loro futuro nella prospettiva
di una comunità parrocchiale che è attenta e sensibile alle rispettive
esperienze, ma che deve far convergere servizi per un domani in cui, forse,
saremo chiamati a compiere altre scelte?
Ci chiediamo dinanzi a questa straordinaria storia
di famiglia parrocchiale, quali scelte hanno fatto crescere la comunità?
E dinanzi a questo vissuto, l’altra faccia della
medaglia della Parrocchia, fatta di alcuni fallimenti, incomprensioni, rifiuti,
tentativi andati perduti, non realizzati, cosa non ha funzionato?
Guardando avanti, puntando certamente su itinerari
di rinnovamento, è necessario che il Consiglio Pastorale rifletta sulle
condizioni necessarie per il cambiamento e alcune direzioni da seguire.
2. Essere
credenti non è più una condizione scontata.
Nella nostra comunità parrocchiale, emerge forte il
nesso tra fede e libertà, tra il credere e la coscienza di ciascuno.
Ognuno ha la sua fede un pò, il suo cammino, il suo
modo di intendere la relazione con Dio e le pratiche religiose, e nessuno
sembra poter interferire con scelte che tocchino l’intimo e la libertà. Ovvio!
Ma poi si finisce, inesorabilmente, nelle strettoie di una fede così individuale,
da diventare solitaria. E da soli è più difficile credere!
Le stesse generazioni del passato non godono di
splendida salute, sembrano vecchie e soprattutto, come dei grembi sterili, con
rancori e conflitti coltivati nel tempo, non sono più in grado di generare
“credenti” .
Non credo che sia un destino ineluttabile, ma una
sfida che ci aspetta come Parrocchia nei prossimi anni, quella di predisporre
luoghi e cammini che alla fede.
Occorre diventare più attenti ai sentieri di chi
cerca il nuovo, una parola per la propria sete spirituale, ascoltare ed
ospitare le storie di uomini e donne che riprendono a credere dopo tempi di
lontananza e di estraneità ai nostri percorsi.
Ritornano allora le domande cruciali: come si impara
a credere? Come si diventa discepoli? Quali cammini portano ad una fede
profonda e consapevole?
Ancora oggi, chi volesse fare i primi passi per
tornare (o cominciare da capo) a credere, probabilmente, comincerebbe qui: dall’andare a messa.
L’Eucaristia, che non solo è da sempre
centrale, mi pare rappresenti, oggi, un cammino reale, possibile, praticabile
da molti, come strada maestra, per diventare ancora discepoli.
Sì, forse l’Eucaristia è il punto di arrivo del
cammino di un discepolo, ma è anche il punto di partenza. Il mistero
eucaristico è il luogo più sacro e più intimo della fede e anche quello più
esposto, meno protetto. Chiunque può entrare in Chiesa e partecipare ad una
messa e nessuno gli chiederà un attestato di cattolicità, forse nessuno gli
chiederà niente!
E certo questo può essere un bel problema, perchè se
nessuno intercetta, il cammino di chi entra, questo può restare un sentiero
isolato e solitario.
Di fatto molte delle nostre eucaristie sono come dei
fast food, dove ciascuno viene
per consumare velocemente il suo pasto, possibilmente, senza troppe
complicazioni relazionali.
L’individualismo che segna ormai il nostro
territorio , corrompe anche il nostro modo di celebrare.
In ogni caso, il progetto della nostra Chiesa
locale, ci chiede di partire da qui, ed io lo condivido fortemente, dal fatto
che, il lato più accessibile del cristiano è proprio quello più prezioso e
impegnativo: la partecipazione alla
mensa eucaristica.
Più umilmente, mi piacerebbe rivolgermi a qualcuno
che chiedesse di imparare a credere, per accompagnarlo in un cammino, con la
parola di Dio tra le mani, che lo porti a scoprire il mistero di Gesù,
che si rivela come Pane della vita.
Invece siamo chiamati a metterci dalla parte del
discepolo, di chi, seguendo Gesù, prova a muovere dei passi veri,
nell’orizzonte della fede. Siamo chiamati così a comprendere come il
partecipare all’eucaristia, faccia crescere il cammino del discepolo, un vero
cammino di iniziazione alla fede.
Si dice: “ prima occorre capire, quello che si fa e
poi, lo si può celebrare da credenti”. È vero solo in parte! È anche
vero, e forse di più, che prima si celebra, ci si lascia agire dal rito, e poi si cresce nella
consapevolezza.
Il rito – come si usa dire – ha una forza, plasma
chi lo celebra , ovvero, dà forma in lui a pensieri, sentimenti, azioni che
sono conformi alla fede.
3. Celebrando
l’eucaristia si diventa credenti.
Mi pare una prospettiva onesta e noi del Consiglio
Pastorale siamo chiamati a viverla, non dall’esterno, come chi fa delle
lezioni di fede, ma da credenti e testimoni.
Proprio introducendo altri alla fede si diventa
credenti, non si può accompagnare il cammino del credere se non raccontando e
riscoprendo anche la propria fede.
Mentre ci rivolgiamo a chi muove i primi passi, ci
accorgiamo che anche chi, da tempo, cammina dietro al Signore, viene riportato
alle sue origini e alla sorgente della sua fede.
Una comunità parrocchiale che accoglie i cammini di
chi ricomincia è anche una comunità che rende più responsabili e veri i cammini
di chi, in essa, vive un ministero per la fede dei fratelli.
Come in una locanda che accoglie i viandanti, l’oste
che mesce del buon vino ha il diritto e il piacere di bere, anche lui, la
sorgente della gioia di credere, la loro sete è anche la sua, può attestare la
bontà del vino che mesce, perchè egli stesso, stupìto, ancora lo gusta con
piacere, come per la prima volta, perchè è vino sempre nuovo, proprio come
quello delle nozze di cana. (cfr. Gv 2 ).
Come far sì che quel vino esprima “la vita buona del
Vangelo”? Come celebrare bene, nella qualità del rito e di tutti i suoi
momenti, soggetti, luoghi e spazi? Come sono partecipati i sacramenti?
Come continuare a trasformare l’acqua in vino nelle
nostre catechesi, che richiede di essere intensificata e/o
modificata? (cfr. Gv. 2,9)
Ma con quali catechisti?
Come accogliere l’invito a fare quello che la Chiesa
ci dice? (cfr. Gv. 2,5)
Quale disponibilità e fedeltà, perseveranza e
collaborazione da individuare e da rinnovare nel rapporto presbiteri e laici?
Quali ministeri per la presenza laicale,
“servitori” nel territorio?
Come poter manifestare anche noi la “gloria di Dio”(
cfr. Gv. 2,11), servire alla luce di una formazione alla preghiera e a
quella spiritualità solida, che passa attraverso un’opera lenta, ma
fondamentale di impegno per tutti a percorrere itinerari, per una ricezione
dell’offerta intera della vita cristiana, che se appresa e digerita, diventerà
vita, senza sentirsi mai arrivati?
Quella gloria
che si manifesta quando finalmente coloro che continuano a curare , aumentare,
aggiornare la propria formazione, diventano loro stessi formatori, riempiono
dell’acqua della conoscenza e della fede le anfore – la vita, degli altri?
(cfr. Gv. 2,7)
Vi offro, con affetto queste riflessioni con alcune
domande di verifica, perché, mi auguro, di aprire insieme con voi un sereno
confronto.
Non sfugge a me e a ciascuno di voi che una tale
riflessione coinvolge in prima persona noi presbiteri, e con noi il Consiglio
pastorale, chiamato ad una intensa esperienza di comunione e di animazione
pastorale, come già stiamo condividendo in questi anni. Il Verbale, presentato
dalla Segretaria, la carissima Patrizia, che ringrazio per la sua preziosa
collaborazione e fraterna amicizia, è un segno della buona e bella vita
del Vangelo nella nostra comunità parrocchiale.
Con un tale sguardo fiducioso, ringrazio di cuore
per quello che avete pensato e realizzato per il mio XXV e prego, perché
veramente l’acqua si trasformi in
vino.
È il miracolo del comprendere – valutare –
verificare – riprogettare insieme, con gioia ed entusiasmo, cercando la qualità
dell’essere comunità credibile che vive nel territorio.
Don Alfredo Di Stefano