Cattedrale S. Maria Assunta

Pagine

  • HOME
  • VESCOVO
  • PARROCO E COLLABORATORI
  • CONTATTI
  • LA CATTEDRALE
  • SACRAMENTI
  • LUDOTECA
  • MULTIMEDIA
  • APPROFONDIMENTI
  • CAPPELLANIE
  • CATECHESI
  • CELEBRAZIONI
  • EVENTI
  • LITURGIA
  • PASTORALE
  • VIA CRUCIS PADRE PIO

L’UMANITÀ DELLA LITURGIA


INTRODUZIONE

Eccellenze reverendissime, carissimi Professori e Studenti, Sorelle e Fratelli,

ringrazio per la possibilità che mi è data di introdurre questo nostro prestigioso Forum entrando subito, come si dice, in medias res.

1. Se è vero che il cristianesimo è la persona viva di Gesù Cristo, allora non possiamo fare a meno di celebrare l’umano liturgico come incarnazione di quella Parola che per sempre si è fatta Volto e ha assunto, nel Nazareno, la sua forma definitiva. Il cristianesimo, infatti, se da una parte condivide con l’ebraismo il primato dell’ascolto della parola di Dio, dall’altra se ne distacca nel momento in cui anticipa la visione di Dio nell’umano di Gesù Cristo che rivela il volto del Padre (cf. Gv 14,9). Solamente in questa prospettiva è possibile parlare dell’umano liturgico. A partire, cioè, dal movimento dell’incarnazione, che san Tommaso d’Aquino, nostro conterraneo, nella Summa contra Gentiles, definisce come il mistero più mirabile. Scrive il grande teologo: «Tra tutte le opere di Dio, è quello che più sorpassa la ragione; niente, infatti, da parte di Dio si poteva escogitare di più meraviglioso, che il Figlio di Dio, vero Dio, diventasse vero uomo. E poiché questo tra tutti i misteri è il più mirabile, ne segue che tutte le altre opere mirabili siano ordinate alla fede relativa a questa mirabilissima: perché il “massimo in ogni genere di cose costituisce la causa di quanto in esso si trova”» (IV,27).

Il cristianesimo, dunque, con il movimento dell’incarnazione, viene a delinearsi sempre di più come la religione del Volto, in cui la pretesa storica della visione di Dio è resa nell’umano simbolico di Gesù Cristo. L’umano liturgico si nutre del paradosso più grande della Rivelazione biblica che è l’incarnazione del Verbo. La carne di Gesù è il Dio-Figlio in mezzo a noi. Nella Parola divenuta carne troviamo il carattere scandaloso e assoluto del darsi di Dio nella storia: la sua tenda è per sempre tra gli uomini. L’incarnazione avviene in modo pieno, in misura eccessivamente estroversa eppur vera, reale, concreta, tangibile, personalissima. “Umano, troppo umano” questo modo di fare e di essere dell’Emmanuele! L’umano liturgico vive di questo scandalo, di tale paradosso: il per sempre di Dio nella forma della nostra umanità!
Il volto giovane della Parola è l’immagine propria della bellezza che salverà il mondo, di quello splendore della verità che è da sempre presso il Padre. Scrive a tal proposito Hans Urs von Balthasar: «L’uomo giovane è l’ultimo volto che la parola di Dio ha assunto sulla terra. Noi siamo sempre involontariamente inclini a immaginare l’aspetto di Cristo più vecchio di quanto fosse, perché il peso della Parola, la sua definitività farebbero pensare a un cinquantenne. Ma non è stato così. Forse Origene ha ragione: con il suo rapido apparire e di nuovo scomparire, Dio risparmia il mondo. Quali distruzioni avrebbe egli causato, se il suo fuoco fosse divampato quaggiù per decenni? E tuttavia egli non se ne va da solo, viene ucciso violentemente. La sua morte non è naturale; è frutto dell’opposizione a lui. Gli uomini debbono rimanere sempre dinanzi a questa che è la più terribile tra le opere di distruzione; essi debbono sapere: noi stessi abbiamo ucciso Dio, abbiamo costretto al silenzio la parola di Dio […]. La Parola – continua von Balthasar – è morta come un giovane ed è ritornata al Padre. A lui è stata risparmiata la curva declinante della vecchiaia. Cristo non diventa vecchio con i vecchi, ma accompagna la loro vecchiaia con la sua continua fanciullezza e maturità […]. In lui il volto dell’uomo è assunto e ritorna nel volto di Dio» (Il Tutto nel frammento, Milano 1990, 242-243).
L’umano liturgico si giustifica, allora, a partire dall’Invisibile che si è fatto visibile affinché l’umanità scoprisse il Padre e ritornasse a quel mondo divino oscurato dal peccato. Si può non accogliere la rivelazione del Verbo, contrastarla fino a un certo punto, ma non nasconderla, perché la Luce brilla da sé e non può essere fermata, proprio per la sua dinamicità e potenza. Un carattere essenziale della luce è la diafanicità: lo splendore non può essere mistificato per la sua stessa evidenza o bagliore. Se è vero che Dio abita una luce inaccessibile (cf. 1Tm 6,16) – ed «è egli stesso luce, e in lui non ci sono tenebre» (1Gv 1,5) –, lo spazio di questa luce è Gesù Cristo, impenetrabile splendore dal quale non ci resta che lasciarci toccare e illuminare.
Il Cristo-Luce diventa il punto di riferimento anche per il nostro cammino verso il futuro. Impegnati in questa vita, noi possiamo sperare la meravigliosa trasfigurazione che Dio ha promesso ai giusti nel suo Regno (cf. Mt 13,43). Le Sacre Scritture, presentando la Gerusalemme celeste, dicono chiaramente che questa città è illuminata dalla luce divina (cf. Ap 21,23; Is 60): gli eletti contempleranno la faccia di Dio, che è Cristo, e saranno illuminati dalla luce dell’Agnello (cf. Ap 22,4-5). Questa è la speranza dei figli della luce!
L’umano liturgico rivela la diafanìa della materia: se è vero che l’essenziale è invisibile, è altrettanto vero che l’invisibile si rivela nella carne di Cristo e che lo stesso Spirito che aleggiò sulla Parola fatta carne dimora anche sui di noi.
2. Mi sembrava essenziale, cari amici, premettere questa riflessione alla nostra mattinata. E, in continuità con quanto finora ho detto, mi preme ancora soffermarmi con voi sull’umanità della liturgia a partire dal corpo.
«Il Creatore ha assegnato come compito all’uomo il corpo». Quest’affermazione dell’amato Giovanni Paolo II esprime con forza la consapevolezza cristiana della stretta relazione che si dà tra l’atto di fede e la vita del corpo. Credere, ci ricorda san Paolo, è ascoltare la parola con il cuore e professare con la bocca la fede in Gesù Cristo (cf. Rm 10,9), per fare del corpo, cioè della propria vita, un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cf. Rm 12,1).
La preghiera liturgica non lascia dubbi sul coinvolgimento della corporeità nell’esperienza dell’incontro con Dio. Mentre la tradizione spirituale, al di là di alcune lodevoli eccezioni, ha per lo più separato i sensi del corpo dai sensi dell’anima, e la tradizione ascetica ha sempre considerato la corporeità nella prospettiva della subordinazione, la tradizione liturgica ha custodito l’integrazione fondamentale della sensibilità nell’esperienza liturgica della fede.
La pratica e la riflessione liturgica ha rappresentato, nello scorrere delle stagioni ecclesiali, lo spiraglio attraverso cui contemplare i sensi del corpo non come un ostacolo pericoloso, né come un ornamento ad sollemnitatem, ma come la “suprema occasione” del rivelarsi dello Spirito. E tuttavia la possibilità per il corpo di accogliere la potenza e l’arte di Dio non è mai stata considerata come ovvia e scontata. La lenta e contrastata accoglienza di elementi sensibili, quali i fiori e l’incenso (compromesso con i culti pagani), la musica (ancora oggi bandita nelle Chiese d’Oriente, perché la voce umana appaia quale unico strumento di celebrazione); i moniti patristici contro l’eccessiva spettacolarizzazione, insieme alla vera e propria battaglia sorta intorno alle immagini sacre, attestano una vigilanza costante nei confronti dei sensi nella liturgia, quasi a gettare un’ombra di sospetto sulla capacità immediata e naturale della sensibilità di mostrare l’Invisibile e dire l’Ineffabile.
Nell’economia di sobrietà, che presiede alla forma liturgica, non si manifesta semplicemente il principio ascetico che teme il corpo. Più in profondità, si rivela il principio liturgico che intuisce il singolare dinamismo simbolico della ritualità cristiana: si tende a integrare i sensi in una precisa forma rituale, che rifugge tanto la mistica intellettualistica ed esoterica dello gnosticismo e della filosofia platonica quanto l’esaltazione estatica, l’eccitazione sensuale e l’emozione superficiale tipica dei riti pagani.
La sfida di un’estetica liturgica dei “sensi spirituali” – aliena tanto dal razionalismo anestetico, che mortifica i sensi, quanto dal sensualismo estetizzante che li dirotta – va così alla ricerca di una forma capace di mostrare nell’atto liturgico del vedere e dell’essere visti, dell’ascoltare e dell’ascoltarsi, del toccare e dell’essere toccati, del gustare e del sentire, il farsi presente del Signore Gesù: il suo volto e il suo nome, le sue parole e i gesti del suo agire.
Se proviamo ad andare alla Celebrazione eucaristica, osserviamo come tutti i sensi siano coinvolti e orientati all’incontro con il Signore, in una progressione che va dal vedere all’ascoltare, fino al contatto più intimo che si dà nell’esperienza del mangiare e del bere.
All’inizio, sottolineiamo il valore dell’orientazione della vista: nei riti della soglia l’assemblea assume la propria fisionomia di corpo radunato intorno alla mensa della Parola e del Pane, per riconoscersi fin da subito come corpo di Cristo e famiglia di Dio che fissa il proprio sguardo sul volto misericordioso di Gesù (“Signore, pietà”) e si lascia guardare da lui.
Nella Liturgia della Parola l’udito si apre all’ascolto, la voce si dispiega nel canto e nell’acclamazione, gli orecchi si affinano alla qualità della relazione, nel giusto equilibrio tra parola e silenzio.
Nella Liturgia eucaristica è il progressivo venire a contatto con il gesto di amore di Gesù che dona la vita, attraverso le mani che si aprono (presentazione dei doni), si alzano a benedire e rendere grazie, si tendono a invocare e si elevano a offrire (preghiera eucaristica), per poi aprirsi ancora a stringere, a spezzare e a ricevere il Dono (comunione).
Nella comunione eucaristica, infine, è il culmine del contatto spirituale, che si fa assimilazione e gusto, per gustare e vedere come è buono il Signore.
E l’olfatto? In questo percorso, il senso dell’olfatto accompagna silenzioso i vari momenti della Messa, sottolineando soprattutto le fasi di passaggio (l’incenso nella processione iniziale; nel passaggio alla Liturgia eucaristica, durante l’offertorio; nel momento della consacrazione).
Si tratta, allora, di custodire un vivo senso di obbedienza e fedeltà all’ordo rituale. È un’obbedienza che richiede un esodo da se stessi per entrare e dimorare nella sensibilità e nell’umanità della liturgia: nella rinuncia al proprio io troppo invadente, nella sottomissione della spontaneità delle emozioni e delle passioni.  

3. Non entro – per evitare inutili ripetizioni – nello specifico delle tematiche e delle relazioni che stanno per donarci don Marco e fratel Goffredo, ma mi avvio alla conclusione. E lo faccio rileggendo a me e a voi la stessa domanda che poneva qualche tempo fa, sul mensile Jesus, il priore di Bose Enzo Bianchi: «La liturgia che viviamo oggi nella Chiesa, la liturgia voluta dal Concilio Vaticano II, è in grado di essere il luogo, il sito in cui i fedeli possono essere soggetti della fede cristiana, capaci di sperimentare che cosa la fede permette di vivere, capaci di accogliere una speranza da offrire e proporre agli altri uomini? Oppure la liturgia è tentata di diventare un non-luogo, cioè uno spazio in cui gli uomini non vivono il loro oggi nell’oggi di Dio, in cui non trova accoglienza l’umanità reale, concreta e quotidiana, in cui si consuma un “sacro” che nulla ha a che fare con Gesù Cristo?».
Carissimi, come i discepoli sul Tabor, anche la liturgia fa i conti con il sonno e la confusione, con la paura e il facile entusiasmo; come sulla strada di Emmaus, anche la liturgia corre il rischio di stare con il Signore con gli occhi chiusi, il cuore spento e il volto triste.
Non sempre e non immediatamente l’assimilazione sacramentale trasfigura la nostra esistenza quotidiana: la liturgia, umile spazio di mediazione, lo sa, e fa pace con il limite e la povertà. Per questo, là dove è compresa e vissuta in profondità, essa ama la sobrietà e la pazienza, la discrezione e il pudore, senza perciò rinunciare a quell’ardore che convoca all’incontro con Colui nella cui umanità abita la pienezza della divinità.

Mons. Alfredo Di Stefano
* * * CATTEDRALE SANTA MARIA ASSUNTA - PIAZZA INDIPENDENZA - SORA (FR) * * *
Post più recente Post più vecchio

ARTE SACRA

ARTE SACRA

SCHIAVONE

SCHIAVONE

EMPORIO

EMPORIO

CENTRO ASCOLTO

CENTRO ASCOLTO
POST PIÙ POPOLARI

Più visitati

  • MESSA DEL RINGRAZIAMENTO
    RITO DE INTRODUZIONE
  • SCHEDA D'ISCRIZIONE CATECHISMO
  • DON PATRIZIO CARRION NOMINATO AMMINISTRATORE PARROCCHIALE
    PARROCCHIA S. MARIA ASSUNTA CATTEDRALE SORA DON PATRIZIO CARRION NOMINATO AMMINISTRATORE PARROCCHIALE  di Pero dei Santi,...
  • ARTE SACRA: ARREDI – PRESEPI – RESTAURO
    ARTE SACRA di Romolo Tamburrini, Via Quinto Valerio n.10 a Sora: il punto vendita dove è possibile trovare articoli religiosi, libri,...
  • TANTI AUGURI DON RICCARDO PER GLI 80 ANNI
  • LA SACRESTIA - CATTEDRALE SORA
    Nella sacrestia si può ammirare, inserito tra le due grandi finestre che si aprono sul cortile del Vescovo, un armadio-reliquiario de...
ULTIME NOTIZIE
Chiesa

Avvenire RSS Feed - Chiesa

Caricamento in corso...
Mondo

Avvenire RSS Feed - Mondo

Caricamento in corso...
APPUNTAMENTI - CHIESA CATTOLICA ITALIANA

Chiesacattolica > Appuntamenti

Caricamento in corso...

lOGO

lOGO
ISCRIVITI AL SITO PER RICEVERE I NEWSLETTER

FACEBOOK

FACEBOOK
CERCARE NEL BLOG

CERCA NEL SITO

PROSSIMI APPUNTAMENTI
PARROCCHIA CATTEDRALE



F

F




Powered by Blogger.