Se ci poniamo dal punto di vista
dei ragazzi, dobbiamo accettare che essi siano quello che sono.
Spesso li dipingiamo come un
problema per il nostro fare catechesi: in realtà essi sono coloro che patiscono i problemi del modo di
vivere di oggi. Possiamo
dire che se oggi è
difficile fare i genitori e fare i catechisti, è difficile anche fare i ragazzi: non è facile, cioè, vivere la fase della adolescenza.
Se diamo la
confermazione a ragazzi di questa età, non possiamo non accettare che siano in questa condizione.
Rispetto a loro, ci possiamo
chiedere se il sacramento
è da presentare come un dono o come
un premio. E’ chiaro: tutti diremmo immediatamente
che è un dono. Però può succedere che durante il percorso insistiamo tanto su esigenze da soddisfare, al punto che il sacramento si presenta più come un premio, un
riconoscimento del cammino fatto. E se il comportamento di un ragazzo non ci
sembra corrispondere a determinate attese, ci
poniamo il problema se sia da celebrare per lui il sacramento. Prima
ancora di tutto questo, dovremmo chiederci:
"ma questo ragazzo, cosi com'è,
ci sta a cuore? E sta a cuore a Dio?".
Questo è un messaggio decisivo da comunicare ai ragazzi: "voi ci state a
cuore; qualsiasi cosa succeda, ci state a cuore". Certo, non è il caso che comunichiamo a loro la
nostra ansia nei loro
confronti, la nostra paura o la nostra sfiducia. Paradossalmente, non sarebbe così strano dire a loro, dopo che hanno
ricevuto la confermazione: "ora che avete finito il percorso dell'iniziazione, andate e
provate a diventare
cristiani adulti; ci diamo appuntamento tra qualche anno e ci racconteremo le esperienze fatte; se avrete
bisogno di aiuto, noi
saremo sempre qui, e se noi avremo bisogno del vostro aiuto, ve lo chiederemo".
Sarebbe un modo per esprimere la
nostra fiducia in loro: "siete cristiani: mostratemi che cosa può poter dire questo per voi e per noi". L'esempio è volutamente provocatorio, per esprimere
un tipo di atteggiamento non troppo
pretenzioso. Non si vuole con questo legittimare una indifferenza rispetto a
loro. Il sacramento è un dono, ma noi
sappiamo che i doni veri impegnano,
perchè ci implicano in una relazione
con il donatore e ci fanno scoprire
di essere importanti per qualcuno. Accogliere un dono significa imparare a
riconoscere l'intenzione gratuita di chi te lo offre, sentire che I'altro si
interessa a te, ma in modo gratuito e
non vincolante, corrispondere al dono
con la personale gratitudine. La logica
del dono quindi si oppone a quella del premio, ma non significa che non
richieda una risposta impegnativa. Esso ci implica in un rapporto gratuito e di riconoscenza reciproca; da ciò ciascuno potrà sviluppare i propri modi di coltivare e ampliare questo rapporto. In una parola, il dono non è semplicemente riconoscimento di ciò che sei, ma è l'inizio di ciò che puoi diventare.
Ma un cammino di preparazione alla confermazione non deve
riguardare solo i
cresimandi, deve concernere anzitutto la comunità ecclesiale nella sua interezza. In qual modo siamo Chiesa? Sappiamo riconoscere il dono di Spirito che è in ciascuno? Facciamo spazio alla ministerialità e alla vivacità di carismi che vengono suscitati dallo
Spirito? Se non vi fosse la possibilità di sperimentare in una certa misura queste realtà, la catechesi ai cresimandi risulterebbe teorica e ne uscirebbe fortemente indebolita. Sarebbe come parlare di una cosa senza poter vedere a che cosa facciamo riferimento. Parliamo di
ministerialità che si possono assumere, di testimonianza da dare, di carismi da esprimere, ma non vediamo bene in che modo ciò sia possibile, perchè la comunità cristiana non
evidenzia abbastanza questi caratteri.
Sogniamo un percorso più incisivo
per la nostra chiesa nei riguardi dei nostri ragazzi!
Don Alfredo Di Stefano
Parroco